Il Primo Uomo – First Man, la recensione
“Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità”, questa è l’unica licenza poetica che il Neil Armstrong di Damien Chazelle si concede in 135 minuti di film. Per il resto del tempo, il primo uomo ad aver messo piede sulla luna si dimostra un individuo taciturno, introverso, schiavo di una rigida abnegazione e di una ferita mai rimarginata che tende ad allontanarlo sempre più dalla propria famiglia.
Ma andiamo per ordine: Il Primo Uomo – First Man è il quarto lungometraggio di Damien Chazelle, scelto come film d’apertura per la 75esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Mentre in Whiplash e La La Land musica e canzoni facevano da struttura portante della sceneggiatura, in Il Primo Uomo l’audio vuole essere asciutto, il più reale possibile, e, proprio per questo, la ricerca da parte del regista è stata incredibilmente approfondita, portando all’utilizzo di vere tute spaziali per riprodurre i suoni giusti.
Il film si apre nel 1961, con una concitata scena di volo durante la quale facciamo la conoscenza di Neil Armstrong, alla cloche di un aereo-razzo americano.
La messa in scena è eccezionale, soprattutto nelle sequenze di volo e in quelle nello spazio: infatti Chazelle focalizza l’attenzione sui dettagli, sui respiri, i suoni dei motori; e ogni volta che il portellone delle anguste capsule di metallo viene chiuso, lo spettatore è colto da una profonda, reale sensazione di claustrofobia.
Ma, nonostante i frequenti incidenti sul lavoro, la frattura nella vita di Armstrong arriva in ambito familiare: sua figlia Karen muore a causa di un tumore.
Ed è qui che il protagonista si spezza. Per tutto il resto della pellicola Ryan Gosling interpreta un Armstrong sempre più freddo in ambito familiare quanto testardo in ambito lavorativo; alla perenne ricerca di sollievo per la perdita della piccola Karen.
Ma per quanto si possa plaudire il mancato tentativo di mitizzare l’eroe americano, rendendolo non un modello di perfezione, ma un uomo che procede ostinato nonostante perdite e fallimenti, in questo caso il difetto risiede nella mancanza di empatizzazione. Lo spettatore non lega con Armstrong, non si immedesima in lui, osteggiato da espressioni spesso impassibili che dovrebbero essere maschera di un dolore troppo grande, ma che diventano un muro emotivo per tutti. Ed essendo questo film basato non sul viaggio, bensì sul personaggio, il risultato è l’assenza di una vera emozione, neppure durante la scena finale dell’allunaggio.
Chazelle stesso ha ammesso che questo è il primo film “non personale”, privo di legami con la sua vita. E infatti, anche se la sceneggiatura procede bene, non regala momenti di vera sorpresa.
In conclusione, Il Primo Uomo – First Man è il viso ostinato e impassibile di Neil Armstrong tormentato da una ferita insanabile, il suo corpo sottoposto di continuo a prove spossanti, il suo piede premuto con meraviglia sul terreno lunare; ma non il suo cuore.
Nei cinema dal 31 ottobre distribuito da Universal Pictures.
Michele Cappetta
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