White Noise – Rumore bianco: La famiglia è la culla della disinformazione mondiale
Ad aprire la 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è White Noise di Noah Baumbach, con Adam Driver, Greta Gerwig e Don Cheadle, in un film che fonde quotidianità e follia in una critica sarcastica all’America, ma anche un po’ a tutta l’umanità e alla sua intrinseca fragilità.
Tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, il film, ambientato negli anni ’80, ruota attorno a Jack Gladney (Adam Driver), professore di “Nazismo Avanzato” e più grande esperto di Hitler in America, portandoci dentro una quotidianità vicina e contemporaneamente surreale, in una commedia che si trasforma in una parodia horror.
Se infatti all’inizio la famiglia di Jack Gladney sembra una normale famiglia americana, pian piano si notano sempre di più elementi dissonanti: sia Jack che la moglie Babette (Greta Gerwig) sono al quarto matrimonio, e i loro quattro figli sono in realtà per 3/4 frutto di precedenti relazioni, in una strana famiglia allargata in cui più che affetto sembra esserci ostilità o addirittura disinteresse, tanto che Babette a volte dimentica il nome di alcuni figli. La figlia più grande Denise (Raffey Cassidy) è sicura che queste amnesie siano però causate da delle misteriose pillole dal nome “Dyler” che Babette tiene nascoste.
In una continua discesa verso l’irreale e il paradossale, il film racconta di un mondo fatto di incidenti, folle, disinformazione, paura della morte e tanta tanta confusione.
Baumbach rilegge il libro di DeLillo durante il lockdown, ed inserisce nel film continue allegorie al clima di overload informativo, alla notiziabilità della paura, allo scetticismo verso la tecnologia, all’inquinamento, al neoliberismo degli anni ’80 e alla perdita di ogni fondamento e certezza in un vortice di eventi che sembra finire nel nulla.
La trama del film è infatti costellata da incidenti: prima i gioiosi, innocenti e ottimisti incidenti di fiction del cinema americano (basti pensare alla parodia che già negli anni ’80 ne faceva The Blues Brothers con le sue infinite catene di auto che rimbalzano una sopra l’altra), per poi mostrare dei reali incidenti ma mediati dalla televisione e dal telegiornale, poi degli incidenti reali, lontani ma di cui si vedono le dirette conseguenze, per poi infine ritrovarsi partecipi in un continuo avvicinamento del casuale, dell’impensabile, dell’imprevedibile, in uno scenario che a momenti quasi diventa un horror o un disaster movie, per poi mutare di nuovo, in un continuo grottesco gioco.
Violenza, psicofarmaci, teorie del complotto, il film di Baumbach è pieno, anche troppo pieno, verso cui ci si sente smarriti a causa della quantità di elementi buttati sul fuoco. Il tema dell’overload informativo e dell’infodemia viene sviluppato oltre che narrativamente e da questo eccesso tematico anche attraverso il montaggio frenetico e il continuo scambio di opinioni senza alcun fondamento da parte di vari personaggi, soprattutto membri della famiglia del protagonista, che spesso si sovrappongono tra loro in un brusio di sottofondo incessante, in un dialogo che più che essere costituito da un botta e risposta è costituito da più monologhi sovrapposti, come nel teatro dell’assurdo del drammaturgo inglese Harold Pinter, in cui la comunicazione è impossibile e l’equivoco è necessità.
Il film di Baumbach offre una quantità di spunti impressionanti, tra le porte dei supermercati che si confondono con le porte del paradiso, la divisione del genere umano in assassini e morenti e nella costante paura umana della morte che non abbandona i protagonisti neanche per un istante.
Questa quantità di spunti, però, è anche il punto critico del film. White Noise è un’opera eccessiva, e che fa dell’eccesso il suo punto cardine e tematico, in un manierismo non gratuito ma volto a trasmettere diversi messaggi; messaggi che forse cercano di essere troppi e troppo ampi con il rischio di sentirsi persi in questo mare di elementi e di pensare, giunti alla fine della visione, “cosa diavolo ho appena visto?”
Da sottolineare, infine, la colonna sonora di Danny Elfman e la presenza di un brano inedito degli LCD Soundsystem a cinque anni di distanza dall’ultimo album American Dream.
Mario Monopoli
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