Venom, la recensione
La Sony Pictures è stata tra le prime majors a credere nel potere cinematografico dei supereroi dei fumetti, inteso come modello produttivo più moderno e all’avanguardia, e lo ha fatto quando ancora era in ballo la Columbia Pictures, nel 2002, anno in cui arrivò nei cinema Spider-Man di Sam Raimi, ad oggi ancora inserito nelle top 10 dei migliori cinecomix di sempre. Antesignano di ogni odierno cinefumetto di successo, Spider-Man aveva provato a portare sul grande schermo Venom già nel 2007, nel terzo capitolo della saga raimiana, all’unanimità riconosciuto come unico punto debole della trilogia. Da allora la Columbia, divenuta Sony, ha dato diverse forme al cordiale ragno di quartiere, rebootandolo nel 2012 con The Amazing Spider-Man, restituendolo ai Marvel Studios – che l’ha inserito nell’MCU in Captain America: Civil War, prima di dedicargli una sua saga – e poi facendone una versione animata che dà vita allo Spider-verse che i fumettofili ben conoscono. Ma dicevamo di Venom, una delle maggiori nemesi di Spider-Man, che oggi diventa protagonista di un suo film inaugurando, nelle idee dei produttori, un universo di film (probabilmente legati tra loro) dedicati ai personaggi “collaterali” del mondo di Spider-Man, non collegato al celebre MCU di casa Disney.
Arriva così nei cinema Venom, che racconta la storia del fotoreporter Eddie Brock e il suo incontro-scontro-fusione con la creatura aliena nota come Venom, che gli conferisce grandi poteri e una sorta di immortalità.
Nato alla fine degli anni ‘80 dalla penna di David Michelinie e dalla matita di Todd McFarlane, Venom è un essere extraterrestre, informe, che appartiene alla specie dei simbionti. Per sopravvivere su un pianeta diverso dal loro, i simbionti devono essere assorbiti da un organismo ospitante, di cui si nutrono lentamente e di cui ne prendono il totale (o quasi) controllo. Cosa che accade anche quando Venom e alcuni altri rappresentati della sua specie arrivano sulla terra, prelevati da una cometa durante un esperimento spaziale della Life Foundation, presieduta dall’imprenditore e scienziato Carlton Drake. A far da corpo ospitante umano di Venom è il giornalista freelance Eddie Brock, che in uno scatto di egocentrismo perde lavoro e fidanzata proprio a causa della Life Foundation. Quella che segue è una lotta (soprattutto interiore) tra Eddie e Venom per far prevalere l’uno o l’altro nell’involucro umano che diventa, praticamente, un burattino. Con le ovvie conseguenze che la Life Foundation è intenzionata a rientrare in possesso del simbionte scomparso dal loro laboratorio.
Figlio di promesse non mantenute, secondo le quali Venom sarebbe dovuto essere un horror-action, dunque un prodotto per adulti, quello che oggi possiamo vedere nei cinema è il risultato di compromessi produttivi e distributivi che hanno completamente stravolto il progetto originario. Ed è fondamentalmente per questo motivo che, a danno fatto, possiamo considerare Venom un prodotto non riuscito, forse tra i cinecomix meno interessanti di questi ultimi mesi che hanno visto il genere crescere, maturare e diventare particolarmente ambizioso. Oltre al fatto che quello che vediamo nei cinema è un film tagliato, rimontato e rimaneggiato per evitare il divieto ai minori (divieto che non ha impedito a film come Logan e Deadpool di essere successi internazionali), con il risultato che qualsiasi accenno di violenza è stato epurato, è proprio l’approccio di base ad essere sbagliato.
Venom è stato inserito da IGN al 22° posto tra i più grandi cattivi dei fumetti di tutti i tempi, si tratta di un mostro letale che non si fa scrupoli ad uccidere; invece nel soggetto di Jeff Pinkner diventa un mostro amichevole che non solo si affeziona al corpo che lo ospita, ma si preoccupa dell’incolumità del pianeta Terra e si fa anche paladino della giustizia. Un’idea, quest’ultima, mutuata dal fumetto Protettore letale, ma completamente riadattata per fare di uno dei più grandi cattivi della storia del fumetto un (anti)eroe alla Frank Castle, ma senza la cattiveria di quest’ultimo.
E questo è un problema importante per l’approccio a un personaggio iconico e amato come Venom, che ne compromette completamente la sua trasposizione nel film diretto da Ruben Fleischer. Perché, in fin dei conti, è proprio sbagliato pensare a un film ponendo a protagonista un villain, almeno secondo la logica di una major. Quel villain, a sua volta, avrà un villain con cui scontrarsi e – irrimediabilmente – sarà connotato da aspetti positivi che gli scrollano di dosso proprio lo status di cattivo. Questo è inevitabile e il film Venom ne è la conferma.
Anche stilisticamente Venom non lascia il segno. La regia di Fleischer (Benvenuti a Zombieland, Gangster Squad) è abbastanza anonima e non riesce a conferire allo stesso film un tratto personale che lo possa distinguere dalla massa dei blockbuster d’azione, anzi si nota la stessa ricerca dell’emulazione (dai prodotti Marvel di successo) che era presente in un altro prodotto-frankenstein come Justice League.
Da potenziale horror, Venom diventa una commedia per famiglie e la componente buffonesca prende il sopravvento tanto che anche nei momenti più drammatici, Eddie Brock ha la battuta pronta e la stessa cosa la fa Venom.
Alla fine, a uscirne vincitore è – per forza di cose – Tom Hardy, volto di Eddie Brock, che porta avanti un one-man-show fatto di improvvisazione, smorfie e una recitazione costantemente sopra le righe. Lui si diverte e diverte lo spettatore a sua volta, questo è palese, ma non è in questo gigioneggiare che può vivere e sopravvivere un simbionte letale come Venom.
Doppia scena post credits: la prima propedeutica a un ipotetico sequel, la seconda mera autopromozione per un imminente prodotto Sony.
Roberto Giacomelli
PRO | CONTRO |
|
|
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
Lascia un commento