Come ti realizzo un horror d’autore. Intervista a Natalie Erika James, regista di Relic

Il 24 marzo uscirà in DVD e Blu-ray distribuito da Blue Swan Entertainment, anticipato dalla messa a noleggio sulle maggiori piattaforme TVOD, il potentissimo horror/drama di Natalie Erika James Relic, presentato con successo al Sundance Film Festival 2020 e, in Italia, alla 20ª edizione del Trieste Science+Fiction Festival. Proprio in occasione della release home video italiana, abbiamo incontrato la regista e sceneggiatrice di Relic.

La storia che ho raccontato in Relic deriva da un’esperienza personale – mette subito in chiaro Natalie Erika James. Mia nonna viveva in Giappone e aveva l’alzheimer; ho provato la sensazione di trovarmi dinnanzi a una persona che non mi riconosceva più. Perfino la casa di mia nonna, dove ho passato tante estati, mi ha sempre spaventata: si tratta di una tipica casa giapponese ma molto lugubre. Unendo le due cose, sono venuti fuori tutti una serie di sentimenti, suggestioni, ricordi e spaventi che hanno rappresentato la base di partenza del film.

Riguardo i propri gusti cinematografici e letterari, Natalie James ha mostrato subito affinità con il genere horror.

Sono una grande appassionata di horror gotico letterario, apprezzo molto le connessioni che vengono a crearsi tra i personaggi di quel genere e poi anche le atmosfere decadenti mi affascinano. Da un punto di vista cinematografico, amo l’horror asiatico anni ‘90, mi piace molto il body-horror di David Cronenberg e, se devo proprio farti un titolo, ho adorato The Orphanage di Juan Antonio Bayona.

La regista e sceneggiatrice Natalie Erika James durante la call

Scendendo nel dettaglio sulle tematiche affrontate in Relic

Il film gira attorno al concetto di senso di colpa che io stessa ho provato con mia nonna, della quale mi sono presa cura anche se sono stata assorbita dalla mia vita. Quindi, quando mi sono resa conto che lei era in difficoltà, ho pensato che non fosse stato abbastanza quello che ho fatto. Era interessante esplorare il ruolo della donna, della sua propensione a prendersi cura degli altri, per questo ho voluto costruire la storia su tre livelli di generazioni, tre donne accomunate da un legate famigliare, ognuna deve prendersi cura dell’altra. Il mio cortometraggio Creswick ha introdotto l’idea per il film, lì al centro di tutto c’era una riflessione sulla mortalità dei propri genitori.

Approfondendo l’aspetto produttivo del film…

La produzione di Relic stava per partire e avevo già trovato finanziamenti in Australia, ma grazie al mio corto Creswick, ho trovato un agente negli Stati Uniti e così anche l’interesse di alcune importati realtà produttive, tra cui la Nine Stories di Jake Gyllenhaal, che tra tutte è quella che ha davvero capito l’aspetto drammatico del film, a differenza di altri produttori che avrebbero voluto sicuramente puntare più sull’horror. Si è deciso, quindi, di entrare in co-produzione con Nine Stories e i fratelli Russo sono entrati come co-produttori esecutivi solo dopo il secondo draft della sceneggiatura. Loro sono entrati in produzione quando stavano facendo gli effetti di Avengers: Endgame e hanno dedicato anche a me tempo. Quando i produttori sono anche registi, come in questo caso, è sicuramente un vantaggio perché sanno cosa vuol dire fare film. Il budget si è aggirato attorno ai 5-6 milioni di dollari e tutto ha funzionato bene.

Relic

La discussione si sposta sul lavoro effettuato sulla scenografia di Relic.

Sono state usate due case diverse per rappresentare l’interno e l’esterno: in interno avevamo solo un piano, quindi abbiamo dovuto costruire da zero tutta la seconda parte del film in cui si perdono nel labirinto di corridoi. Lo spazio doveva essere realistico, non doveva per forza rimandare a un universo parallelo, quindi abbiamo usato la stessa architettura del resto della casa ma inserendo elementi capaci di creare la suspense, tipo le scale che non hanno sbocco. Ad un certo punto, ci siamo resi conto che stavamo sforando il budget almeno del 40% perciò abbiamo riformulato l’idea e abbiamo agito sull’architettura della casa: di fatto sono stati costruiti solo due corridoi che di notte venivano smontati e assemblati nuovamente per fare altri ambienti.

Ma Relic è un film che si costruisce anche su scelte di fotografia ben precise.

Noi volevamo lasciare degli spazi all’interno dell’inquadratura che non fossero troppo comprensibili, delle zone scure. L’intenzione si riflette non solo sull’uso della fotografia ma anche nelle scenografie che non dovevano lasciare del tutto comprensibili alcuni angoli della casa, con qualcosa di nascosto che non possiamo distinguere. È un parallelismo con la mente di Edna che ha zone oscure, questo è stato reso possibili dall’utilizzo della luce.

Relic

Relic è un film ricco di spunti legati a un passato oscuro, quasi mitologico, che però non vengono chiariti fino in fondo.

Apprezzo quando vengono notati gli indizi che ho disseminato! Tutta la storia ruota attorno al senso di abbandono, nasce da fatti di cronaca che si sono svolti in Giappone, dove alcuni anziani e malati venivano trovati morti in casa dopo mesi dal decesso perché non ricevevano assistenza. Ho trovato queste storie struggenti, terribile e le ho aggiunte alla mia esperienza personale ed è proprio da qui che nasce la logica alla base dell’essere un fantasma: se un individuo ha vissuto una vita carica di dolore, lasciando dei conti in sospeso, poi il fantasma che si genera è motivato a rimanere tra i vivi per risolvere le sue cose. Questo è quanto accade nel film, in quell’individuo che viveva nella capanna che ha infestato come radici tutta la casa della protagonista, visto che ne hanno riciclato i materiali per edificarla.

In che modo sono state effettuate le scelte di casting di Relic?

Il casting è stato molto naturale anche se non avevo pensato a Robyn Nevin, Emily Mortimer e Bella Heathcote mentre scrivevo la sceneggiatura, ma le ammiravo singolarmente per altri lavori. Le ho incontrate negli Stati Uniti prima che iniziassi la seconda stesura della sceneggiatura, ho fatto prove di lettura con loro e abbiamo riflettuto insieme su come caratterizzare i personaggi. Il personaggio di Edna è molto aggressivo inizialmente poi si ammorbidisce e Robyn Nevin è stata davvero magnifica; il personaggio interpretato da Emily Mortimer sullo script era molto più severo, invece lei ha messo un tocco di dolcezza per non sembrare distaccata come era pensata all’inizio. Bella Heathcote anche è entrata nella parte perfettamente: lei è più razionale, con i piedi per terra anche nella vita reale. Io lei ho continuato a sentirla anche dopo qui in Australia, quindi ho lavorato molto con lei sul personaggio. Sono stata molto a mio agio con tutte loro, non mi hanno mai fatto pesare che io fossi una regista alla prima esperienza.

Relic

Relic si inserisce perfettamente nella new wave horror autoriale a cui appartengono, per esempio, le opere di Ari Aster, Robert Eggers e Oz Perkins. Cosa ne pensi di questo filone? Può essere il futuro del genere?

I registi horror hanno sempre avuto lo strumento di parlare del mondo e della realtà attraverso una lente che rende le storie più grafiche; negli anni è cambiata è la comprensione da parte del pubblico che l’horror possa essere questo veicolo per filtrare la realtà e non c’è più la percezione che l’horror possa essere un genere gratuito e basta. Negli anni ‘60 l’horror era già così ma non lo era il pubblico e ora si può lavorare sul pubblico per far uscire questi elementi. Questo è sicuramente un grande momento per l’horror!

E che progetti ha Natalie Erika James per il futuro?

Sicuramente rimarrò sul genere horror psicologico. Sto lavorando su diversi progetti ma quello che mi piace di più è una storia di folklore ambientata in Giappone incentrata sul rapporto tra madre e figlia e con atmosfere alla Rosemary’s Baby. Io parlo un pochino giapponese, ho vissuto lì per sei anni e sicuramente questo mi può aiutare a sviluppare questo progetto.

A cura di Roberto Giacomelli

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