Il politically correct distruggerà il mondo! John Waters alla Festa del Cinema di Roma

John Waters, classe 1946, è tra i nomi di spicco della rivoluzione culturale avvenuta a Hollywood tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70. Trasgressivo, geniale, dissacrante, Waters ha rappresentato per il cinema indipendente americano una boccata d’aria fresca capace di aprire le porte delle majors a un mondo fatto di freaks, di consapevole esaltazione del brutto, di potentissima satira sociale votata ad intrattenere con un particolare senso del disgusto.

Antesignano del “trash” e ostracizzato per anni come simbolo del cattivo gusto, con il quale si è fatto da subito notare con il film cult del 1972 Pink Flamingos, John Waters è stato negli anni riscoperto, rivalutato ed eletto a simbolo di un cinema libero, anticonformista, capace di esprimere idee anarchiche nel modo più schietto possibile.

Regista di grandi film come Polyester (1981), Grasso è bello (1988), Cry Baby (1990), La signora ammazzatutti (1994) e A morte Holywood! (2000), John Waters è stato tra gli ospiti internazionali più attesi della 15ª edizione della Festa del Cinema di Roma. Lo abbiamo incontrato in una conferenza stampa inquietantemente deserta e questo è il resoconto dell’interessante chiacchierata.

John Waters sul red carpet della serata d’apertura della Festa del Cinema 2020 – Foto Getty Images per gentile concessione di Fondazione Cinema di Roma

Tutti i miei film sono stati definiti trash, perfino pornografici, fuori contesto ma allo stesso tempo gioiosi. Il paradosso è che se vivi tanto a lungo da superare questo clima di ostilità, poi ti renderai conto che il tuo lavoro subisce una rivalutazione. In genere ci vogliono due generazioni affinché ciò accada.

Esordisce così Waters, ironizzando sulla schizofrenia del sistema meritocratico dell’entertainment, ma in che modo si è evoluta nel tempo la sua opera e il modo di concepirla?

All’inizio della mia carriera, c’era un pubblico che ha capito i miei film e li ha sostenuti. Erano persone arrabbiate che non riuscivano a sentirsi parte delle loro minoranze, ma allo stesso tempo i critici mi stroncavano e hanno continuato a farlo per dieci anni buoni, solo che noi utilizzavamo proprio le loro stroncature per farci pubblicità. Eravamo ironici e autoironici, ma io cercavo anche di creare un nuovo genere di film.

Oggi c’è una percezione differente del trash: prendiamo Donald Trump, lui ha rovinato la concezione che abbiamo sempre avuto del cattivo gusto; a causa sua non riusciamo più neanche a riderne. Oggi stiamo vivendo un b-movie horror dal quale non riusciamo a uscire: prendiamo il covid-19, questo virus è noioso e terrificante allo stesso tempo e nulla, a mia memoria, è mai stato definito in questo modo.

Parlando di Cry Baby, uno dei maggiori cult della carriera di Waters che ha rappresentato anche una delle prime prove cinematografiche di Johnny Depp.

Forse oggi non tutti lo sanno, ma “Cry Baby” non ha avuto affatto successo ne è stato troppo amato. Johnny Depp all’epoca era un idolo delle ragazzine, veniva dalla serie tv “21 Jump Street” e lui odiava essere un teen-idol, così accettò di fare il mio film proprio per scrollarsi di dosso quell’immagine. “Cry Baby” prendeva in giro proprio quel tipo di film e le ragazzine che andarono a vederlo capirono che c’era qualcosa che non andava e quel qualcosa ero io. Johnny Depp era entusiasta e continuava a chiedermi ‘tu mi hai fatto guadagnare 1 milione di dollari???’, che è stata la sua ricompensa per “Cry Baby”. Perché quello è stato il suo primo film hollywoodiano, ma è stato anche il mio primo grande film! È stato magnifico fare “Cry Baby”, con Johnny siamo ancora amici e continuo a pensare che sia un grande attore e si è sempre comportato benissimo.

John Waters, poi, ripercorre quali sono stati i momenti cruciali della sua carriera.

Ci sono stati momenti fondamentali nella mia carriera. Uno è senz’altro “Pink Flamingos”, che non veniva proiettato a New York finché ci fu data la possibilità di proiettarlo in un cinema come spettacolo di mezzanotte, solo che fece strappare circa 30 biglietti nella prima settimana, tanto che mi dissero che lo avrebbero tenuto solo un’altra settimana e poi tolto, ma quando ci presentammo c’era la fila fuori dal cinema. Quelle 30 persone avevano fatto un buon passaparola e la mia vita è cambiata. È cambiata ulteriormente quando il musical “Hairspray” ha vinto un Tony ed è stato perfino mostrato nelle scuole. Infine, il mio libro è entrato nella bestseller list del New York Times, avevo già scritto altri libri, ma questo mi ha dato maggiore credibilità.

A proposito di Divine, pseudonimo di Harris Glenn Milstead, attore feticcio di Waters…

Divine abitava nel mio quartiere, eravamo amici e tutti sanno che i ragazzini realizzano i primi film utilizzando come attori proprio i loro amici! Ecco, solo che io avevo amici un po’ più strani degli altri. Considerate che Divine non era un transgender, non voleva essere una donna ne si vestiva mai da donna ad eccezione di quando giravamo, anzi lui voleva essere Godzilla! Io ho pensato al personaggio Divine per far paura agli hippie e ha funzionato! Lui era un ottimo attore e la gente pensava che fosse così veramente tanto che lui cominciava ad essere stanco di essere ricordato come colui che aveva mangiato merda di cane, così abbiamo deciso di cambiare la sua immagine nel film “Polyester”, dove interpretava una casalinga e per quel ruolo ha ricevuto ottime critiche.

A questo punto un approfondimento tra John Waters e il suo rapporto con la critica.

Nonostante all’inizio fossi stato ferocemente attaccato dalla critica, io leggevo sempre le recensioni, sia quelle positive che negative… ma tutti lo fanno, anche quelli che dicono di non leggerle. In fin dei conti bisogna sempre leggere le recensioni positive due volte, quelle negative una volta, poi metterle via e non leggerle più! Le recensioni cattive sono quelle che si ricordano maggiormente e quando sei giovane non ti importa tanto perché vuoi solo essere notato, quando sei più anziano però è diverso. Comunque non mi hanno mai fermato le critiche negative, anzi mi hanno fatto gioco. Quando ho iniziato io c’era la rivoluzione culturale e i critici hanno abboccato alle mie provocazioni perché avevano una visione tradizionale del cinema, oggi invece i critici sono più intelligenti, sono al passo coi tempi e per parlare male di queste cose dicono che un regista cerca di essere deliberatamente shockante.

Invece il rapporto tra John Waters e la provocazione…

Per me l’umorismo è politico quindi se si riesce a far ridere il nemico vuol dire che il nemico si è fermato per darti ascolto, per questo io ho sempre cercato di far ridere la gente. All’epoca in cui uscì “Pink Flamingos” era appena uscito “Gola profonda” quindi per noi era molto difficile risultare trasgressivi in un momento in cui era stata sdoganata la pornografia, allora abbiamo fatto mangiare merda di cane a un personaggio come estremo gesto per provocare i censori, ma allo stesso tempo avrebbe fatto ridere il pubblico. Ma era uno scherzo, fondamentalmente, una trovata pubblicitaria che ha funzionato meglio di quello che ci aspettassimo.

Nel suo ultimo libro, Waters ringrazia i suoi genitori perché gli hanno impartito delle regole da infrangere…

I miei genitori amavano il buon gusto e me lo hanno insegnato, se io non avessi avuto queste basi non avrei mai potuto costruire una carriera sul cattivo gusto! Ringrazio i miei genitori che mi hanno preparato una carriera, anche se non è quella che avrebbero voluto per me, loro erano inorriditi da quello che facevo ma mi hanno dato sostegno. Io ho fatto il mio primo film in super8 quando ero ancora al liceo, prima facevo il burattinaio, prendevo 25 dollari a spettacolo, per le feste dei bambini, quindi già sapevo che il mio destino sarebbe stato nel mondo dell’intrattenimento.

Quanto sono importanti i personaggi nel cinema di John Waters e come nascono?

Quando lavoro a un mio film prima devo penare al genere che voglio prendere in giro e poi devo avere con me un titolo, dopo di che decido dove devono muoversi i personaggi, il luogo, e do loro una storia. Mentre la parte più difficile per me è la trama generale. Quindi i personaggi vengono prima della trama e io penso a personaggi che non sarebbero mai protagonisti di un film normale, come la ragazza cicciona di “Grasso è bello” o la mamma psicopatica de “La signora ammazzatutti”. Inoltre, per me i film non dovrebbero mai durare più di 90 minuti, è come se una barzelletta fosse troppo lunga, poi non fa ridere; devono esserci i canonici tre atti: inizio, svolgimento, fine da scandire in 30-30-30 minuti.

E che differenza c’è tra il John Waters scrittore e quello regista?

Preferisco scrivere al dirigere. Fondamentalmente io sono uno scrittore: ho scritto libri, ho scritto tutti i miei spettacoli, sono sceneggiatore di tutti i miei film. Come regista, invece, sono impaurito! Fa paura fare un film e non è affatto divertente!

C’è una scena nella carriera di John Waters di cui oggi non ne va particolarmente fiero?

C’è una scena in “Pink Flamingos” che oggi non rifarei, ovvero quella in cui i personaggi uccidono un pollo e lo mangiano, come riferimento al film italiano “Mondo cane”. Abbiamo comprato questo pollo in un mercato ed è stato mangiato da un attore… diciamo che è un pollo che ha fatto carriera perché comunque venivano venduti per essere mangiati e lui è stato mangiato da un attore all’interno di un film.

Ma per John Waters cos’è davvero il “Trash”?

Per me il trash è il volgare. Guardiamo la Casa Bianca, sembra che ci è entrato Jeff Koons senza alcuna conoscenza della storia dell’arte e l’ha arredata lui! Trash è quando si cerca a tutti i costi di essere volgare e violento ma senza umorismo, senza divertimento.

Cosa è cambiato oggi in confronto a ieri nell’essere liberi di esprimersi in un film?

Paradossalmente oggi siamo liberal ma molto più soggetti alla censura. Io faccio uno spettacolo dissacrante in cui prendo in giro tutti e me lo fanno fare, ma questo perché, in fin dei conti, scelgo di prendere in giro le cose che mi piacciono e quindi risulto affettuoso e divertente. Ma ad esempio ad un mio amico non volevano pubblicare un romanzo perché un personaggio parla di un altro personaggio come “grasso”. C’è un controllo su quello che si dice, sul linguaggio, ma i cattivi devono poter dire cose terribili, questo li identifica. In America abbiamo il “trigger warning”, ovvero ogni volta che in uno spettacolo si sta per dire qualcosa che può offendere qualcuno c’è un avviso così le persone possono andarsene prima di essere offese. Per me l’eccesso di politically correct è il motivo per cui Trump può ancora vincere, la gente è arrabbiata, sa che non può dire niente e non può esprimersi e quindi voterà per lui come forma di ribellione verso questo stato delle cose. Ho davvero paura di questa cosa.  

Sulla possibilità del cambiamento della fruizione dei film in seguito alle regole dettate dalla pandemia.

È una cosa che in effetti temo perché la gente sta cominciano ad abituarsi a guardare i film a casa, cosa che i giovani comunque già facevano, e tutto ciò mi preoccupa. Io, ad esempio, ho rimesso piede in una sala cinematografica per la prima volta da quando questo virus ha preso piede proprio due giorni fa nella vostra serata d’apertura della Festa del Cinema ed è stato bellissimo vedere la gente ridire, applaudire e condividere quest’esperienza con altre persone.

A cura di Roberto Giacomelli

Photocall Festa del Cinema 2020 - Per gentile concessione di Fondazione Cinema Roma

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