La prima notte del giudizio, la recensione

La prima notte del giudizio è come una coltellata nel fianco del “Sogno Americano”.

Tanti anni di cinema politico e di denuncia non sono efficaci quanto la saga creata da James DeMonaco nel 2013 e giunta, oggi, al quarto capitolo, che non è un proseguo ma un prequel, ambientato in quell’anno in cui i Nuovi Padri Fondatori d’America decisero di iniziare lo Sfogo, che sarebbe diventato in breve tempo una “grande tradizione americana”.

Una coltellata a tradimento, non dissimile da quella che sferrerebbero volentieri i partecipanti allo Sfogo annuale, perché se il cinema americano spesso e volentieri si è impegnato a costruire l’idea di American Dream elevando il Nuovo Continente a Terra delle opportunità, c’è tutto un filone di film che quel sogno si diverte a decostruirlo per trasformarlo in un incubo. La notte del giudizio ci riusciva degnamente, i suoi sequel ancor di più, impregnati di un odore politico, anzi satirico, che però fa rabbrividire quanto è realisticamente lucido.

Con La prima notte del giudizio, primo capitolo della saga a non essere diretto da James DeMonaco, che comunque ha curato la sceneggiatura, torniamo indietro diversi anni, fino al DAY 1, per capire come, quando e perché è nata la pratica dello Sfogo annuale.

Siamo sempre in un futuro molto vicino al nostro presente ma comunque non definito con precisione e gli Stati Uniti hanno già visto nascere la delegazione politica che si fa chiamare Nuovi Padri Fondatori d’America. Per venire in contro alla criminalità dilagante, viene avviato un esperimento che coinvolge l’intero quartiere di Staten Island a New York, dove c’è il più alto tasso di criminalità: per 24 ore chiunque può compiere qualsiasi crimine, perfino l’omicidio, rimanendo perfettamente nella legalità. Chi vorrà partecipare attivamente all’esperimento, che i media nominano “Sfogo”, sarà ricompensato con 5 mila dollari, cifra che può aumentare con l’incremento degli atti di violenza eseguiti. Un’iniziativa che scatena un dibattito pubblico senza precedenti, tra detrattori e favorevoli, portando gli Stati Uniti a quel punto di non ritorno che i precedenti film ci hanno raccontato, dove protagonista d’eccezione è la lotta di classe. Infatti la popolazione di Staten Island è composta per buona parte da neri di estrazione sociale medio/bassa, dove la via della criminalità è spesso l’unica da percorrere per sopravvivere, come accade al giovane Isaiah, piccolo spacciatore di quartiere che, nonostante l’avversità di sua sorella maggiore Nya, decide di prender parte allo Sfogo e documentare i suoi “crimini” con delle particolari lenti a contatto fornitegli in dotazione che registrano ogni sua azione.

Diretto da Gerard McMurray, che si era già fatto notare per Burning Sands: Il codice del silenzio, La prima notte del giudizio si allinea perfettamente alla struttura narrativa dei precedenti due film, Anarchia – La notte del giudizio (2014) e La notte del giudizio – Election Year (2016), che hanno forgiato l’identità del franchise modificando le suggestioni horror da home invasion del primo film in una saga di azione urbana ultra-violenta. Ci troveremo, dunque, a seguire passo passo le (dis)avventure di un piccolo nucleo di personaggi impegnati a sopravvivere a una notte di violenza e orrore attraverso le strade del quartiere e gli edifici fatiscenti che lo compongono. Replicando, quindi, una struttura che lo spettatore già conosce, fatta di momenti clou che innalzano a spettacolo la violenza più truculenta, La prima notte del giudizio si impregna però di quel sapore politico votato a condannare ideali filo-repubblicani e il risvolto che la trama ad un certo punto prende è una potentissima chiave di lettura sociologica sull’America di oggi, quella trumpiana. In questo quarto capitolo, infatti, non è tanto la Nazione delle armi a spiccare quanto la percezione che c’è del cittadino di estrazione sociale bassa, visto spesso come parassita, e nel film incarnato dalla comunità afro. In questi termini, La prima notte del giudizio è il capitolo blackspoitation della saga, una sorta di Black Panther in chiave horror che erge a protagonista la comunità nera di Staten Island.

Non parco di interessanti elementi narrativi che riflettono sull’importanza della “maschera” durante la notte dello Sfogo e sulla reazione istintiva che gli esseri umani possono avere se gli viene concessa qualsiasi cosa (un comportamento poco in linea con le aspettative!), La prima notte del giudizio si cala pian piano nel genere action più di ogni capitolo che l’ha preceduto tanto che avremo uno spettacolare epilogo che, senza fare spoiler, possiamo definire un riuscito mix tra Die Hard e The Raid.

Ogni capitolo di questa saga, seppur a rischio ripetitività, riesce ad aggiungere un tassello mai banale a un grande disegno che oggi rappresenta il miglior esempio di cinema di genere intriso di sociale, come in passato fece il grande cinema di George Romero e John Carpenter.

Ora aspettiamo al varco la miniserie tv The Purge che esordirà su USA Network il 4 settembre.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Aggiunge alla mitologia di “The Purge” interessanti elementi che ne arricchiscono il fascino.
  • Buona gestione dell’elemento action, che in questo capitolo si fa più manifesto.
  • La struttura narrativa è la medesima dei due film precedenti.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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La prima notte del giudizio, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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