Tonya, la recensione

Tonya Harding è tante cose: è la pattinatrice olimpica, è l’emblema del white trash americano, è la vittima di una madre e poi di un marito violento, è colei che ha ordinato di gambizzare la sua rivale Nancy Kerring. O forse no, forse non l’ha ordinato, forse è stata un’idea del marito. Forse lei sapeva e non ha fatto nulla.

Tuttavia a Craig Gillespie, regista del biopic I, Tonya (semplicemente Tonya in italiano), poco importa di chi ha fatto cosa, perché l’aggressione alla Kerring diventa un pretesto per raccontare tanti altri temi, o per meglio dire troppi temi: il film si concentra infatti sulla desolazione di una provincia americana gretta e ottusa, dove non si salva nessuno, nemmeno chi, come Tonya (interpretata nel film da Margot Robbie), ha cercato un riscatto nello sport. Da qui partono ulteriori ramificazioni, ovvero la frustrazione di ottenere fama e prestigio per poi perderli miseramente, anche a causa del circolo vizioso di abusi in cui Tonya rimane invischiata. Gillespie talvolta si perde in mezzo a tutto ciò e in mezzo al vortice della violenza che mette in scena, volendo fare di Tonya un affresco postmoderno che vada al di là del solito biopic.

Quest’operazione gli riesce meglio sul versante prettamente registico, in cui la modalità pastiche funziona con efficacia; la rottura della quarta parete da parte degli attori instaura un clima di complicità divertita con lo spettatore, ricercata anche attraverso le battute sagaci e una fauna di personaggi davvero idioti, in pieno stile Coen. Se poi ci mettete anche una colonna sonora pervasiva e accattivante, il gioco è fatto: l’attenzione del pubblico è completamente rapita. Dunque i principali pregi di Tonya risiedono nella natura pop e centrifuga delle sue immagini, esaltata dai vortici compiuti sulla pista da Margot Robbie.

L’attrice, infatti, dà vita a un’interpretazione estremamente corporea non solo per la trasformazione fisica raggiunta, ma anche per l’intensità che mette in ogni singolo fotogramma; rimangono impresse nella memoria soprattutto due scene, quella in cui spalanca le braccia come a voler stringere il mondo intero quando compie il suo primo triple axel, e quella in cui si guarda allo specchio prima di una gara, al posto del viso una maschera grottesca che ricorda quella di Bette Davis in Che fine ha fatto Baby Jane?.

Tonya è stato presentato all’edizione 2017 della Festa del Cinema di Roma ed è stato candidato a tre premi Oscar, vincendone uno, andato ad Allison Janney come migliore attrice non protagonista, ruolo che le ha fatto guadagnare anche un Golden Globe.

Tonya è nei cinema italiani dal 29 marzo distribuito da Lucky Red.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
Non si tratta del solito biopic, per fortuna, ma di un film godibile e pop. I temi affrontati sono troppi e dunque perdono d’incisività.

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Tonya, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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