Tito e gli alieni, la recensione

Nel deserto del Nevada, proprio accanto all’Area 51, vive il Professore. Un uomo schivo e solitario, ormai rassegnato nei confronti della vita, che passa le intere giornate disteso sul divano ad ascoltare il suono dello Spazio profondo. Vittima di una depressione che cresce giorno dopo giorno, il Professore sta continuando – svogliatamente – a lavorare su un progetto segreto, iniziato molti anni prima insieme alla moglie prematuramente scomparsa e finanziato direttamente dal governo degli Stati Uniti d’America. Alla base di questo progetto top-secret c’è la scoperta di un metodo rivoluzionario che consentirebbe l’invio di segnali sonori nell’iper-spazio volti alla ricerca di nuove forme di vita oltre quelle terrestri. Quando tutto sembra essere in procinto del fallimento e il governo è intenzionato a tagliare i fondi per la ricerca, il Professore riceve la visita dei due nipotini Anita e Tito, rispettivamente di 16 e 7 anni. I due bambini, orfani di entrambi i genitori e ancora incapaci di elaborare il recente lutto del padre, vengono affidati alle cure del Professore. L’uomo, che inizialmente non ha i mezzi e la volontà di prendersi cura dei minori, finisce presto per trovare in Tito un valido aiutante e la volontà del piccolo, di rimettersi in contatto un’ultima volta con il genitore appena deceduto, sarà determinante per lo sviluppo della ricerca stellare iniziata dal Professore tanti anni prima.

Se fino a qualche anno fa la situazione del cinema italiano era riassumibile in un pianto amaro, possiamo constatare che negli ultimissimi anni le cose stanno lentamente cambiando in positivo. Prima di poter parlare di vera “rinascita del cinema italiano” c’è ancora tanta strada da fare, ma quello che conta è che i primi passetti sono stati fatti. A tal proposito risulta curioso constare che, ogni qualvolta un prodotto “innovativo” (definiamo così quei film che rompono lo stanco schema di certo cinema italiano) si affaccia sulla scena, questo prodotto viene avvolto e accompagnato da un anomalo battage pubblicitario che sembra provar timore nel rivelare l’autentica natura del prodotto. Quasi un imbarazzo nel dichiarare l’appartenenza ad un genere piuttosto che ad un altro. Un recente ed eclatante caso lo abbiamo avuto sul piccolo schermo con la bellissima serie firmata da Niccolò Ammaniti, Il miracolo, venduta come “dramma” quando, in realtà, si tratta di un prodotto dichiaratamente di stampo horror. Spostiamo il discorso dal piccolo al grande schermo e arriviamo al film in questione, Tito e gli alieni, secondo lungometraggio della regista Paola Randi che, nel 2010, aveva esordito con la commedia Into Paradiso.

Determinata e coraggiosa, forte di un talento artistico non indifferente, Paola Randi porta sui grandi schermi quel film che mai e poi mai ci saremmo aspettati di veder prodotto in Italia in questo periodo storico. Perché Tito e gli alieni non è quella commedia eccentrica dai toni partenopei che ci vogliono far credere, assolutamente no, si tratta di un film di fantascienza in piena regola. Certo, non mancano momenti leggeri utili ad addolcire l’atmosfera e strappare anche qualche sano sorriso, ma tutto sempre nel rispetto di un cinema che vuole rigorosamente essere sci-fi.

Sicuramente una grande sfida, dalla quale la regista sa uscirne a testa alta poiché capace di affrontare un genere – tutt’altro che semplice – in modo maturo, per niente banale e sottostando con coerenza ad un canone ben preciso che governa tutto ciò che accade durante i 92 minuti di durata. Durante la visione di Tito e gli alieni è impossibile non cogliere tutto l’amore e il rispetto che la regista prova nei confronti di questo genere perché i richiami stilistici e concettuali a tanti cult che hanno fatto la storia della fantascienza sono molteplici (tanti i rimandi a Contact, Incontri ravvicinati del terzo tipo, il più recente Moon o l’onnipresente 2001: Odissea nello Spazio) ma ad essere chiamato in causa, in modo tanto indiretto quanto specifico, è tutto quell’immaginario vintage anni ’60 con militari senza scrupoli e dove il fanta-tecnologico era rappresentato da macchinari improbabili, hardware pesanti ed ingombranti e sistemi operativi ultra intelligenti (qui abbiamo L.I.N.D.A.) capaci di dialogare apertamente con l’essere umano. Ma lo scopo di Paola Randi non è quello di confezionare un’operetta citazionista e votata al revival, il suo è un lavoro di grande coraggio e prestigio poiché la fantascienza di Tito e gli alieni rincorre dei concetti molto delicati capaci di andare ben al di là della stessa fantascienza, in grado di stimolare simultaneamente sia il cuore che il cervello dello spettatore.

In primis, infatti, quello della Randi è un film che riflette sulla paura di affrontare la morte e tutto il dolore che ne consegue. Una paura, però, che non è di coloro che stanno per morire ma di tutti quelli che restano. Quelli che sopravvivono. Coloro che perdono un caro e non accettano l’idea di non poterlo più avere accanto. Un tema che la regista riesce a toccare in modo molto delicato, stando sempre ben attenta a non incappare nell’ovvietà o nella superficialità e così facendo riesce nel compito di portare in scena anche momenti dal forte valore emozionale. Merito di questa riuscita va anche all’eccezionale cast che comprende un Valerio Mastandrea in assoluto stato di grazia, i due giovani talenti Luca Esposito (il piccolo Tito) e Chiara Stella Riccio (Anita), il sempre bravo Gianfelice Imparato e l’affascinante Clémence Poésy che nel film interpreta Stella, il solo “contatto umano” che il Professore ha in quel territorio arido e isolato lontano da tutto e tutti.

Per tematiche, tempi narrativi e uno stile registico ricercato e visionario, ma complici anche le meravigliose location naturali americane e spagnole, Tito e gli alieni è un film italianissimo che sa molto poco d’Italia. Più che altro ci ricorda quel cinema americano indie, coraggioso e innovativo, che spesso e volentieri ci racconta storie di genere, attraverso uno sguardo d’autore, capaci al tempo stesso di divertirci ed emozionarci. Quei film, insomma, che noi tutti chiamiamo con fierezza Cinema.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un vero film di fantascienza tutto italiano.
  • Originale e ben strutturato.
  • Paola Randi scrive e dirige, con delicatezza e visionarietà, un film che sa divertire ed emozionare.
  • Esteticamente molto accattivante.
  • Il cast, nella sua totalità.
  • Qualche vfx non proprio all’altezza, ma siamo in Italia e la Randi riesce comunque a far ricorso ad effetti digitali superiori a quelli visti in film dalla caratura produttiva ben più elevata.
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