Transformers – L’ultimo Cavaliere, la recensione

Cosa hanno in comune i giocattoli Hasbro noti come Transformers con i Cavalieri della Tavola Rotonda e il mito di Camelot? Assolutamente nulla. Eppure in Transformers – L’ultimo cavaliere, quinto film della saga fanta-action di Michael Bay, gli sceneggiatori riescono a trovare una fantasiosa connessione tra i robottoni alieni e la corte di Re Artù, che ha tanto il sapore di un rugginoso barile di cui si sta scavando il fondo.

Dieci anni di successi cinematografici, iniziati nel 2007 con il primo Transformers, portano la saga ad evolversi di capitolo in capitolo, generando film sempre più grossi, tronfi, lunghi, mastodontici, fino ad arrivare a Tranformers – L’ultimo cavaliere che va a formare un dittico con il precedente capitolo, L’era dell’estinzione, riportando in scena il personaggio interpretato da Mark Wahlberg, l’inventore Cade Yeager, ora diventato uno dei protettori degli Autobot, dopo che la battaglia a Hong Kong li ha fatti diventare fuori legge in tutto il mondo. Ora Cade, che tiene nascosti in una discarica alcuni Autobot superstiti, è stato nominato “eletto” da un antichissimo transformer rinvenuto nei pressi delle macerie di Chicago (dove si era consumata la battaglia del terzo film) e viene contattato da Sir Edmound Burton, la cui famiglia studia da anni la presenza dei transformers negli eventi storici terrestri. Insieme all’anziano Lord, al di lui maggiordomo robot e alla studiosa Vivian Wembley, la cui dinastia sembrerebbe legata nientemeno che a Mago Merlino, Cade deve impedire a una nuova minaccia aliena di distruggere la Terra.

Questa è a grandi linee la confusionaria trama di Transformers – L’ultimo cavaliere, che aggiunge la sottotrama di Optimus Prime auto-esiliato dalla Terra per cercare i “Creatori” dei transformers e il Governo degli Stati Uniti ricattato da Megatron, che vuole costruire una squadra con i peggiori Decepticon reclusi, un po’ in stile Suicide Squad. Le due ore e mezza di Transformers – L’ultimo cavaliere sono densissime di eventi e ogni inquadratura è satura di oggetti, dettagli, personaggi, tanto che questo quinto film riesce a sfiancare lo spettatore più paziente tanto a livello narrativo che visivo.

Eppure il plot, seppur così arzigogolato, è molto lineare e potenzialmente semplice, solo che la sceneggiatura di Art Marcum, Matt Holloway e Ken Nolan ha una fastidiosa tendenza alla sovrabbondanza di informazioni che non riescono in nessun modo ad essere equamente spalmante lungo la poderosa durata del film. Così ci troveremo una parte introduttiva eccessivamente dilatata che va a ripercuotersi su alcuni snodi di trama importanti che invece vengono trattati con eccessiva superficialità (il piano di Megatron e l’agire dell’esercito USA ha dell’incomprensibile), allo stesso modo i personaggi, al di fuori del Cade Yeager già introdotto nel precedente film, soffrono tutti di macchiettistico manierismo che non li rende mai accattivanti. E mi riferisco in particolare a Sir Burton, interpretato da uno spaesato Anthony Hopkins, e Vivian Wembley, che ha le fattezze supersexy di Laura Haddock.

Unico personaggio potenzialmente interessante – su cui si poteva puntare di più – è la piccola Isabela Moner, nota per la serie teen 100 cose da fare prima del liceo, che ha un volto molto espressivo (Bay lo sa e i primi piani si sprecano) e impersona l’orfana Izabella. Quando, nei primi minuti, questo personaggio viene introdotto in una Chicago post-apocalittica mentre interagisce con altri bambini sopravvissuti, si prospetta uno sviluppo interessantissimo per la saga, che ricorda per certi versi la serie a fumetti della Bonelli Orfani (in particolare la miniserie spin-off Terra), ma purtroppo si tratta solo di una parentesi e Transformers – L’ultimo cavaliere mostra di possedere tutte le peggiori caratteristiche dei film che l’hanno preceduto, ovvero momenti di soporifera verbosità, sciocca retorica militarista e spossanti scene d’azione che metterebbero a dura prova qualsiasi patito dei videogame più frenetici.

Allo stesso tempo, però, bisogna dire che questo Transformers possiede una maestria nella gestione della messa in scena che conferma la grandezza tecnica di Michael Bay: ogni scena è architettata per non lasciare nessun punto dell’inquadratura privo di stimoli. C’è una complessità d’insieme mostruosa che riempie lo sguardo ad ogni frame e palesa quanto può essere difficile (e frustrante) realizzare un film di questo tipo.

Michael Bay ha dichiarato che questo è il suo ultimo Transformers; ci saranno altri film (tra cui lo spin-off dedicato a Bumble-Bee previsto per il prossimo anno) ma lui si limiterà alla produzione esecutiva, quindi – in un certo senso – ha voluto conferire a questo quinto capitolo un senso di chiusura con il ritorno (marginalissimo) dell’agente Simmons di John Turturro e del tenete Lennox di Josh Duhamel, il cammeo (in foto) di Shia LeBeouf e la partecipazione di Stanley Tucci in un ruolo diverso da quello visto nel precedente film. Ovviamente Transformers – L’ultimo cavaliere è tutto fuorché conclusivo, visto il cliffhanger finale per la prima volta così esplicito nella saga, che promette un apocalittico sviluppo che ci auguriamo possa realmente tornare a donare interesse a questa saga che, con questi ultimi due capitoli, è davvero precipitata in un’asfissiante mancanza di idee salvata solo dal fragoroso rumore del metallo.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una palese complessità tecnica che si traduce in stima verso Michael Bay.
  • Isabela Moner, che ha una particolare espressività.
  • Estenuantemente lungo.
  • Trama inutilmente complessa che si trasforma in una gran confusione.
  • Personaggi mal tratteggiati.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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