Robinù, la recensione

Portare sullo schermo un fenomeno ormai conosciutissimo come quello della camorra e della vita dei gangster non è mai un’impresa facilissima, soprattutto dopo il successo della serie tv Gomorra che ha inevitabilmente creato un prototipo di riferimento. In questi casi i pericoli sono due: o imitarlo alla lettera, oppure lasciarsi prendere dalla voglia di distaccarsi dal modello del momento perdendo così di vista l’obiettivo del racconto e andando clamorosamente fuori tema. La soluzione migliore, quindi, sarebbe quella di attuare una via di mezzo proprio come fa Michele Santoro il quale, presosi una pausa dalla conduzione di salotti politici, si cimenta in un documentario di stampo molto tradizionale che però ha il grande merito di fornire un quadro dettagliato dei piccoli protagonisti della camorra, i cosiddetti baby-boss, e il contesto sociale in cui crescono. Questo e altro è Robinù, presentato al 73° Festival di Venezia.

Il passato da giornalista di Santoro torna prepotentemente a fare capolino e la cosa si evince da come il regista salernitano riesce a instaurare un rapporto diretto e spontaneo con i suoi protagonisti.

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Più che le parole, infatti, sono i volti e gli sguardi a colpire lo spettatore, oltre alle immagini dei vicoli stretti di Napoli che più di ogni altra cosa riescono a esprimere la sensazione di come tutta questa spirale di violenza sia purtroppo quasi inevitabile. Un fattore grazie al quale i giovani protagonisti vengono analizzati nel loro intimo con l’esposizione dei loro rapporti, non sempre facili, con i propri familiari e con il pericolo costante di morire o delle motivazioni che li conducono a sparare, quasi sempre per sentirsi ricchi e potenti.

Robinù 3

Molto intelligente anche la scelta di spostare nella parte centrale del documentario il tiro sui genitori allo scopo di mostrare diversi punti di vista e la divisione tra chi approva questa scelta e chi no e, soprattutto, le conseguenze disastrose che questo stile di vita può causare nel cuore dei propri cari. Ciò che si viene a creare, dunque, è un clima di perfetta empatia tra i soggetti intervistati e lo spettatore, cosa che porta ad una riflessione profonda sull’argomento e non più soltanto al semplice intrattenimento, come accade con le serie tv e film di finzione.

Robinù 4

Robinù, in conclusione, si impone all’attenzione generale come una piccola sorpresa del festival, a dispetto dello scetticismo generale di partenza alimentato dal fatto che l’argomento trattato è ormai molto inflazionato; anche il taglio televisivo dell’opera, evidente già dal trailer, non inficia la buona riuscita della pellicola.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Un rapporto diretto e spontaneo tra il regista e i personaggi intervistati.
  • Ottima descrizione del contesto sociale in cui i baby-boss crescono.
  • Offre spunti di riflessione e non intrattenimento.
  • Un taglio a tratti troppo televisivo.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Robinù, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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