Charlie Says, la recensione

Qual è la storia dietro il “pluriomicida” più conosciuto nella storia moderna?

Questa domanda dice abbastanza della trama di Charlie Says, che ha accompagnato una tarda serata al Lido di Venezia in occasione della 75esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, in una delle due sale allestite a lato delle pareti dello storico Casinò.  Quello che però non è specificato è che la regista Mary Harron (American Psycho) ha optato per adottare un punto di vista diverso rispetto a quello di Charles Manson; più precisamente, ha scelto di ruotare attorno a una delle tre ragazze che nel 1969 hanno compiuto congiuntamente a Manson due stragi a Los Angeles (in una di queste due perse la vita Sharon Tate, attrice e moglie del regista Roman Polanski).

La narrazione scorre a tratti lenta, a tratti un po’ meno, ma il ritmo non è mai incalzante, forse in seguito a una precisa decisione della regista. Il filone principale infatti si snoda in prigione, dove le tre ragazze sono in attesa di sapere se la pena potrà essere loro ridotta o se dovranno passare tutto il loro tempo dietro le sbarre. A intervalli più o meno regolari, la seconda vicenda poi viene narrata da Leslie (Hannah Murray), appena arrivata nella Famiglia (questo il nome della setta) dopo aver abbandonato la propria.

Charlie Says

Attraverso l’iniziazione di Leslie (Loulou per Manson e amici), però, abbiamo anche la possibilità di un punto di osservazione esterno e oggettivo da cui giudicare l’indagato principale. Ossessionato dal mito di Gesù (con lui si poteva leggere un unico libro, The Holy Bible), Charlie conduce una vita per certi versi simile all’Universo freak degli anni 60 (uso di droghe, sesso libero, voglia di tornare alla natura per esorcizzare la società della plastica), da cui però si differenzia per la dimensione più religiosa del suo pensiero. Parte che poi l’ha portato a entrare in contraddizione su molti temi, come ad esempio la demonizzazione dell’uomo di colore, usurpatore del potere a cui i bianchi sarebbero destinati ad arrivare in seguito a una lotta tra razze.

La Harron però risulta maestra nel non banalizzare nessuno dei temi che a un occhio oggettivo potrebbero risultare da “fuori di testa”, e nel mettere ogni virgola al suo posto, date ed eventi, amici e nemici, pensieri e supposizioni del gruppo di giovani sbandati.

Charlie Says

A voler mettere i puntini sulle “i”, possiamo dire che la regista adotta la classica tattica che i nonni di famiglia usano per descrivere ai bambini uno spacciatore. Eh sì, perché mostra le tre ragazze in prigione, non spiega il motivo ma anzi incomincia a narrare dalle belle canzoni dei The Beach Boys e da quelle che Manson stesso era solito vociare, con la sua chitarra tra le braccia, a un gruppo di giovani che in lui avevano trovato una miglior ragione per vivere.

Altro punto a favore di Charlie Says è il mettere in evidenza aspetti estremamente soggettivi (grazie ai dubbi che spettano quasi esclusivamente a Leslie, mettendo in piedi un simil dialogo/fantasma con il leader) con un rigoroso rispetto del “copione” che ci ha lasciato la vita, tanto che risulta difficile stabilire se le attrici hanno avuto margine di interpretazione dei ruoli, o se al contrario gli eventi le obbligassero ad assumere alcuni atteggiamenti. Di questa storia sapevamo infatti tanto, troppo per non farne un film di culto.

Charlie Says arriverà nei cinema italiani dal 22 agosto distribuito da No.Mad Entertainment.

Roberto Zagarese

PRO CONTRO
  • Musiche.
  • Sceneggiatura.
  • Ritmo della narrazione.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
Charlie Says, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.