West Side Story, la recensione

Sessant’anni esatti sono passati da quando esordiva sul grande schermo West Side Story di Robert Wise, primo adattamento cinematografico dell’omonimo musical di Leonard Bernstein, Stephen Sondheim ed Arthur Laurents, composto quasi dieci anni prima e liberamente ispirato a Romeo e Giulietta di William Shakespeare. Ben dieci Oscar vinti dal film, una marea di repliche in teatro, eppure West Side Story torna a nuova vita, sessant’anni dopo, grazie all’uomo che oggi meglio di chiunque altro è sinonimo di Cinema con “C” maiuscola, Steven Spielberg. Il regista di E.T. e Indiana Jones, infatti, ne realizza un remake filologicamente fedelissimo che rappresenta per lui l’ennesima sfida professionale: cimentarsi per la prima volta, all’età di 75 anni, con il genere musical.

Ci sarà riuscito?

Domanda retorica di cui tutti conosciamo la risposta.

Siamo nel 1957 nell’Upper West Side di New York e tra le macerie di un quartiere al centro della riqualificazione urbana, si fanno guerra per il controllo del territorio i Jets e gli Sharks, due gang di giovani che fanno leva sulla differenza razziale: i primi sono bianchi, i secondi di etnia ispanica, portoricani per l’esattezza. In mezzo a questo odio ingiustificato nasce la storia d’amore tra Tony, ex Jets da poco uscito di carcere e migliore amico del leader della gang, e Maria, sorella di Bernardo, leader degli Sharks.

È dal 2014 che Spielberg corre dietro al soggetto di West Side Story, che si è trasformato in sceneggiatura – firmata dal suo fidato collaboratore (Munich, Lincoln) Tony Kushner – già nel 2017. Più fedele al libretto originale del musical che al film di Wise, West Side Story versione 2021 non manca comunque di apportare un’importante modifica rappresentata dal personaggio di Valentina, proprietaria della drogheria, di etnia ispanica e saggia protettrice di Tony, nonché sua datrice di lavoro. Un personaggio creato da zero e messo in sostituzione di Doc (che nella precedente versione era il proprietario della drogheria, interpretato da Ned Glass) che ha il volto di Rita Moreno, interprete nel ruolo di Anita del film del 1961 e vincitrice del premio Oscar come interprete non protagonista. Insomma, una variazione con la quale Spielberg ha voluto rendere omaggio diretto al precedente film. Per il resto, c’è una fedeltà pressoché maniacale che non solo riporta in scena le musiche di Leonard Bernstein, le canzoni di Stephen Sondheim e le coreografie di Jerome Robbins, ma anche una fotografia – a cura del sempre ottimo Janusz Kamiński – che sembra realizzata direttamente negli anni ’60.

È proprio il look retrò, che coinvolge anche le scenografie di Adam Stockhausen e i costumi di Paul Tazewell, ma incredibilmente moderno a rappresentare il fiore all’occhiello di questa nuova versione di West Side Story; una cura sopraffina che riempie gli occhi dall’inizio alla fine del film confermandoci per l’ennesima volta l’egida produttiva che caratterizza ogni opera spielberghiana, capace di trasportare completamente lo spettatore dentro il film.

Raccontato e ritmato come se si trattasse di un film d’azione, con una gestione delle coreografie musicali dal sapore particolarmente dinamico, West Side Story parla in primis a un pubblico di cinefili ma tenta anche di acchiappare un pubblico più giovane e aperto al linguaggio del musical raccontando una storia d’amore giovanile che non ha età. Ovviamente, con l’occhio smaliziato del 2021, quella tra Tony e Maria, così ricca di melassa e cieca di fronte alle numerose problematiche, appare come una love story ingenua e figlia del suo tempo, ma se contestualizzata riesce comunque a catturare anche lo spettatore odierno.

Il problema insormontabile di West Side Story, invece, sta proprio nel genere a cui appartiene, il musical, che sappiamo essere uno scoglio piuttosto arduo da oltrepassare per una ingente fetta di pubblico cinematografico, soprattutto italiano. Quello di Spielberg, nonostante il marketing stia cercando di camuffarlo tacendo, è un musical al 100% e anche di stampo classicissimo, cadenzato da balli e canzoni. Dunque, se non amate il genere, pensateci due volte prima di acquistare il biglietto per West Side Story perché potreste trovarvi davanti a uno spettacolo particolarmente tedioso e di difficile presa.

Passando al cast, che è l’unica novità sostanziale di questo film, troviamo Ansel Elgort di Baby Driver nei panni di Tony e l’esordiente Rachel Zegler nel ruolo di Maria: la seconda stravince sul primo che qui mostra più di un limite espressivo. Per il resto, si contraddistinguono Ariana DeBose nel ruolo di Anita, David Alvarez in quello di Bernardo e soprattutto Mike Faist nei panni di Riff, leader dei Jets, che ha un viso da cattivo interessantissimo. Ma la novità sostanziale è che, a differenza del film del 1961, stavolta i ruoli dei portoricani sono interpretati davvero da attori di origini ispaniche!

Dunque, se siete fan dei musical, dell’opera originale e non disdegnate le operazioni di fedeltà millimetrica, West Side Story fa sicuramente al caso vostro, al contrario sapete a cosa andate incontro. Ma, comunque sia, un dato è certo: Spielberg non avrà realizzato uno dei suoi film migliori, forse neanche più memorabili, ma a questo punto sappiamo che può uscire a testa alta anche dinnanzi a un genere così difficile e “a sé” come il musical. Ergo, la sfida è vinta: può fare (bene) davvero qualsiasi cosa!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • La fotografia, i costumi, le scenografie… West Side Story è un film del 2021 che replica perfettamente le atmosfere del cinema dei primi anni ’60.
  • Spielberg se l’è cavata egregiamente anche con un genere difficile come il musical.
  • Ansel Elgort lascia un po’ a desiderare in quanto a espressività.
  • La storia riproposta così fedelmente oggi appare un pochino ingenua.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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