Ma Ma – Tutto andrà bene, la recensione
Nell’estate del 2012 la Spagna si mantiene in equilibrio precario fra l’esaltazione e lo scoraggiamento, impelagata nelle secche di una serissima crisi economica, ma orgogliosa per il trionfo dei suoi ragazzi agli Europei di calcio del 2012.
Nell’estate del 2012, la vita di Magda è specularmente un saliscendi di emozioni contrastanti. Un cancro al seno, la certezza della disoccupazione, l’orgoglio per il figlio promettente calciatore, il marito andatosene chissà dove, l’amicizia con un ginecologo sui generis dalle insospettabili doti canore.
L’incontro con Arturo è di quelli che cambiano la vita. Compagni di sventura, le sofferenze terribili che colpiscono l’uomo e che inevitabilmente lo spingono verso Magda hanno un non so che di biblico, fermo restando che la penna di uno sceneggiatore ben intenzionato farebbe tranquillamente impallidire di vergogna anche lo spietatissimo Dio vendicatore dell’Antico Testamento, come dimostra inequivocabilmente il caso in esame.
Per un attimo, la scomparsa del cancro illude la povera Magda, il povero Dani, il povero Arturo di essere riusciti a scampare l’ondata torrenziale di negatività e abbattimento che prometteva di scatenarsi su di loro, giusto in tempo però per soccombere ancora una volta alle implacabili geometrie del tumore. Stavolta per Magda il replay della malattia non sembra proprio prevedere un lieto fine.
Una gravidanza inaspettata, l’arrivo della piccola Natasha, un enorme pegno d’amore, chiudono il cerchio.
Ma Ma è un film sul cancro, la vita, l’amore, la voglia di non mollare mai e di afferrare con tenacia anche il più piccolo scampolo di felicità e pienezza di vivere. Costi quel che costi, qui e ora.
Se la regia di Julio Medem, autore in passato tra gli altri anche del fortunato Lucia y el sexo, mantiene un impianto di base che è quello del melodramma, al tempo stesso rifugge le trappole del bieco sentimentalismo. Il film non è, forse un appuntino marginale si può muovere alla scena finale, particolarmente ricattatorio.
L’accento è posto sulla plasticità dei corpi che si toccano, si sfiorano, mutano irrimediabilmente sotto l’incedere della malattia. Un montaggio creativo che gioca costantemente con il passato e il presente, suggestioni oniriche, un’estetica a tratti surreale arricchita, si fa per dire, da inserti in digitale dei quali non si sente necessariamente il bisogno. Una chiave fotografica limpida, luminosissima, forse inusuale per il genere di film in esame, sottolineano lo sforzo del regista di rinfrescare una storia già vista, già sentita, milioni di volte in passato e che avremo modo di sperimentare ancora, occultata in una miriade di incarnazioni diverse, e possiamo anche scommettere su questo, milioni di volte in futuro.
Il risultato è oltremodo deludente: l’emozione si inceppa, arida, intrappolata sullo schermo, mentre l’idea di base del film, per quanto ampiamente condivisibile, assume i contorni un po’ fastidiosi del messaggino edificante, fabbricato ad uso e consumo delle anime pie in platea. Penso in particolare alla forza dirompente, alla follia, l’umorismo, la felicità delle soluzioni visive, la verità dolorosa impressa in ogni fotogramma del bellissimo e provocatorio La guerra è dichiarata della regista francese Valerie Donzelli, come pietra di paragone scomodissima e irraggiungibile per Ma Ma.
Intendiamoci, il fascino e il carisma di Penelope Cruz non sono in discussione. La sua dedizione al progetto, neanche. L’unico valido motivo per dare una possibilità a questo film non riuscito riposa in effetti nella ricerca della verità, dell’autenticità di ogni, scelta, gesto, parola, sbalzo d’umore della protagonista messo in opera dall’attrice madrilena.
Vale la pena di citare anche il bravissimo Luis Tosar, nella parte di Arturo, un solido talento poco conosciuto nel nostro paese. Per il resto, a dispetto delle premesse iniziali, Ma Ma sembra funzionare forse in misura maggiore come vanity project per la sua talentuosa protagonista, piuttosto che come offerta effettiva al pubblico.
Francesco Costantini
PRO | CONTRO |
Dio resta sullo sfondo. Magda non crede. Arturo si. I riferimenti al trascendente e alla possibilità di una vita oltre la vita restano sullo sfondo. Al centro del quadro stanno la vita, la morte, una riflessione sul presente. La metafisica è un vuoto che spetta allo spettatore di riempire, secondo le sue convinzioni, se ne ha voglia. Una scelta coraggiosa e apprezzabile. | È difficile da spiegarsi. Il tono, la struttura, certi snodi della trama. |
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