Army of the Dead, la recensione

Quando noi appassionati di cinema horror ci troviamo a parlare di zombi c’è sempre un punto di riferimento fermo e indelebile da tenere in considerazione: George A. Romero.

Esiste inevitabilmente un PRE-Romero e un POST-Romero perché dal momento in cui, nel 1968, arrivò nei cinema e nei drive-in quel capolavoro assoluto de La notte dei morti viventi la figura dello zombi mutò e la creatura del folklore haitiano acquistò una nuova mitologia riscrivendo e allargando la sua valenza sociale ma, soprattutto, diventando un’icona del cinema dell’orrore. Tutto quello che arrivò dopo La notte dei morti viventi, per forza di cosa, ha dovuto confrontarsi con La notte dei morti viventi.

Tra fedeltà e tradimento al modello romeriano, negli ultimi cinquant’anni abbiamo visto sfilare migliaia di film che mettono al centro di tutto l’immagine del morto vivente, ma a risollevare quel mostro polveroso da lustri di produzioni silenti è stato sempre e comunque un progetto collegato al Maestro, che si trattasse del buon remake a cura di Tom Savini de La notte dei morti viventi (1990) o il bellissimo omaggio a Zombi che ha segnato l’esordio cinematografico di Zack Snyder, L’alba dei morti viventi (2004). Proprio il successo di quest’ultima opera ha riacceso i riflettori sullo zombi dando il semaforo verde, paradossalmente, agli ultimi film di George A. Romero sull’argomento, in particolare La terra dei morti viventi (2005) che ha idealmente chiuso la tetralogia romeriana, oltre che fornire il produttivo a un altro importante tassello nell’evoluzione mediale del morto vivente, The Walking Dead, ma questa è un’altra storia…

Così come Snyder aveva riacceso l’interesse delle majors per i morti viventi omaggiando (e modificando) il modello romeriano, per il suo ritorno dietro la macchina da presa ha deciso di riesplorare lidi zombeschi tornando di nuovo a confrontarsi con la lezione impartita dal Maestro, ormai scomparso, e prendendo come modello proprio La terra dei morti viventi. Vede così la luce Army of the Dead, sontuoso b-movie prodotto da Netflix che pone un nuovo punto fermo all’interno della corposa filmografia dedicata agli zombi.

Un prologo che richiama l’incipit de Il ritorno dei morti viventi di Dan O’Bannon ci mostra come Las Vegas sia diventata una zona di contagio, delimitata da un recinto all’interno del quale si è diffusa una terrificante epidemia che ha trasformato gli esseri umani (e gli animali) in letali mostri putrescenti affamati di carne umana. Sono passati alcuni mesi da quando questa situazione ha avuto luogo, l’esercito è riuscito a contenere il contagio ma ora il Pentagono ha deciso di sganciare una testata nucleare su Las Vegas radendo al suolo la città e tutto quello che vi si muove all’interno. A poche ore dall’esplosione, un ricco uomo d’affari contatta il mercenario Scott Ward, che mesi prima si è contraddistinto per una missione di salvataggio nella zona infetta, e gli propone un affare: dovrà tirare su una squadra, infiltrarsi nell’Olympus Palace di Las Vegas, aprire l’inespugnabile cassaforte del caveau, prendere tutti i soldi e fuggire con l’elicottero posto sul tetto dell’edificio. Tutto questo prima che venga sganciata la bomba ed evitando di essere squartati dai morti viventi. Scott accetta ma c’è una complicazione: sua figlia Kate si intrufola nella missione del padre per recuperare una sua cara amica recentemente scomparsa a Las Vegas dopo essere illegalmente entrata nella zona infetta.

Army of the Dead è energico come un b-movie action anni ’80, ha la costruzione di un film western con i nativi americani, ricorda Robert Aldrich (Quella sporca dozzina) e John Carpenter (Fantasmi da Marte), ha il ritmo di un videogame e tanto di quel sangue da inserirsi senza remore nella migliore tradizione splatter. Insomma, Army of the Dead è il meglio che si possa chiedere oggigiorno da un action/horror.

Partendo dal concetto “evolutivo” del morto vivente elaborato con fascino e intelligenza da Romero ne Il giorno degli zombi e La terra dei morti viventi, Snyder ci mostra uno zombi intelligente creato in laboratorio, lo chiama Alpha e lo trasforma nel “padre” di una progenie di morti viventi senzienti che comunicano tra loro, pianificano attacchi e sanno perfino come evitare i colpi mortali ai loro danni (ovvero alla testa). Questo uber-zombie, però, non è la sola minaccia in Army of the Dead, popolato comunque da zombi (semi)classici, animali zombi (vediamo una tigre e un cavallo), e i soliti pessimi umani che quando si impegnano sanno essere i veri mostri della situazione.

Il regista di Watchmen e Justice League, dopo un lungo prologo aulico (suo vero marchio di fabbrica, ormai) accompagnato dalle note di Viva Las Vegas di Elvis Presley (nella cover di Richard Cheese), costruisce un robusto e compatto film d’azione ricco di personaggi e di ritmo. Ogni personaggio ha una caratteristica ben specifica, utile a superare uno step della missione, e avrà il suo momento di gloria nel corso del film: si tratta di personaggi volutamente bidimensionali, archetipici, messi lì per portare avanti la storia. Snyder, che è anche sceneggiatore del film, si concentra invece sul protagonista interpretato da Dave Bautista, un mercenario disilluso, stanco, un ruolo che negli anni ’90 avremmo immaginato per un maturo Arnold Schwarzenegger, che rimpiange il suo passato e cerca di ricostruire un rapporto ormai sgretolato con la figlia ventenne, che è interpretata da Ella Purnell di Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali. Il rapporto padre/figlia, che muove il film e si fa centrale nei momenti topici della trama complicandola, è la chiave di Army of the Dead e conoscendo il vissuto personale del regista e la tragedia che lo ha colpito pochi anni fa si può leggere in questo elemento del racconto anche l’anima del film, tanto che l’epilogo di Army of the Dead assume un’altra lettura, sicuramente commovente.

Al di là della voluta semplicità narrativa e della schematicità dell’azione, Army of the Dead ci offre una grande quantità di scene madri e un senso del coinvolgimento davvero imponente. Il tasso di violenza ludica che il film comprende è ben superiore alla media dei prodotti mainstream oggi sfornati dalle piattaforme e la cura generale nella costruzione dei set, degli effetti speciali e la fantasia che anima il tutto ci porta quasi indietro nel tempo a un tipo di cinema pop-corn, intelligentemente tamarro ma colmo di sentimento che mancava da qualche tempo. E poi non sottovalutiamo il fatto che Army of the Dead riesce finalmente a utilizzare – e bene – il brano Zombie di The Cranberries, ovvero la canzone che tutti noi abbiamo sempre immaginato in un film con i morti viventi ma che mai abbiamo trovato in questo contesto!

Army of the Dead sarà su catalogo Netflix dal 21 maggio, se vi piace certo cinema (che piace a noi) vi divertirete sicuramente.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • C’è tanto ritmo e le quasi due ore e mezza di durata non si sentono proprio.
  • Nella sua semplicità narrativa è molto efficace.
  • Dave Bautista è ormai una garanzia.
  • Il tasso di splatter è notevole.
  • Se non vi piace il cinema di Zack Snyder sappiate che Army of the Dead è una sintesi tra il suo primo operato (L’alba dei morti viventi) e il suo ultimo e più pomposo cinecomic.
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Valutazione: 8.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Army of the Dead, la recensione, 8.5 out of 10 based on 2 ratings

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