Asteroid City, la recensione

Siamo nel 1955 ad Asteroid City, un paesino nel deserto americano nato nel cratere generato dall’impatto di un asteroide. Qui si tiene periodicamente una convention di giovani astronomi e cadetti spaziali tra i più brillanti d’America, chiamati per esporre le loro idee e ritirare coccarde come ringraziamento al loro contributo alla scienza. Tra questi c’è Woodrow Steenbeck, in viaggio con il padre che non l’ha ancora messo al corrente che la mamma è appena deceduta. Quando i presenti alla convention sono testimoni di un bizzarro incontro ravvicinato con una creatura extraterrestre, tutta Asteroid City viene messa in quarantena dall’esercito americano. Durante questo periodo di convivenza forzata, vengono a crearsi conoscenze, amicizie e conflitti tra il variopinto manipolo di umani che popolano Asteroid City.

Il buon Wes Anderson si trova sicuramente in un momento della sua carriera fortemente critico, poiché sembra aver esaurito completamente tutte le potenzialità del suo stile surreale, che tanto aveva contribuito a spianargli la strada del successo. Quindi togliamoci subito il dente: Asteroid City è il SOLITO film di Wes Anderson.

Questo, arrivati al suo undicesimo lungometraggio, comincia ad essere un problema anche per il fan più accanito del regista de I Tenenbaum, dal momento che – seppur cambino storie e personaggi – si ha la fortissima sensazione di assistere ciclicamente allo stesso spettacolo. E anche una barzelletta, all’ennesima volta che la ascolti, non ti fa più ridere.

In Asteroid City ci sono tante trovate deliziose in puro Anderson-style, suggestioni retrò da far andare in un brodo di giuggiole ogni vero appassionato di fantascienza classica, momenti pensati appositamente per diventare cult. Eppure, tutte queste cose che singolarmente sembrano pazzesche, nel contesto generale creato da Wes Anderson, vanno completamente a perdersi.

Innanzitutto, nel cinema di Anderson la forma sta diventando pericolosamente il contenuto e l’ennesimo impeccabile esercizio di stile offusca tutta quella serie di richiami colti e nerd a un immaginario fantastico anni ’50 altrimenti impeccabile.

La natura meta-teatrale, sia nella costruzione in atti che nella cornice, getta immediatamente lo spettatore in una dimensione alienante che rivela presto la sua più velata natura: gli spettacoli televisivi di fantascienza. E così avremo un Bryan Cranston novello Rod Serling che ci introduce da narratore/presentatore a una storia “Ai confini della realtà” che però è stata dichiaratamente scritta dal noto drammaturgo Edward Norton e diretta dal problematico regista Adrien Brody. Questo contesto da dietro le quinte fa da cornice al racconto e torna tra un atto e l’altro per interrompere la continuity fictional.

Gettate le basi per un racconto anticonvenzionale, emerge presto il problema primario che riscontriamo nel cuore della narrazione, dove tanti, troppi personaggi si incrociano in più storie senza trovare ne un approfondimento adeguato ne una reale chiusura narrativa. Più passano i film più notiamo nelle sceneggiature di Anderson una certa tendenza all’affollamento di personaggi (The French Dispatch, giustamente, era un film a episodi!), ma mai come in Asteroid City ci siamo trovati a seguire storie così poco ispirate, personaggi così poco empatici, con una sensazione generale di noia e sconclusionatezza. In pratica, la macro-storia alla base di Asteroid City è molto carina, ma ogni singolo personaggio che la popola manca di spessore e interesse.

Se escludiamo la diva del cinema interpretata da Scarlett Johansson, che sta studiando il copione del suo prossimo film ed è alle prese con una scena di nudo, nessun altro riesce a colpire più di tanto, a cominciare dal protagonista interpretato da Jason Schwartzman, intrappolato nel solito loop del personaggio introverso e monosillabico. Un cast oltremodo ricco che comprende, oltre ai già citati, Tom Hanks, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Liev Schreiber, Maya Hawke, Steve Carrell, Matt Dillon, Willem Dafoe, Jeff Goldblum e Margot Robbie in un cammeo quasi nascosto.

L’azione si svolge tutta in sequenze “incorniciate” e con punto di fuga centrale, come solito nella regia statico/avanguardistica di Anderson, la fotografia Robert D. Yeoman, invece, spinge tantissimo sui colori caldi e pastello, morbidi e innaturali, molto particolare e affascinante. Menzione speciale agli effetti speciali squisitamente retrò, volutamente finti ma con gusto, come se Ed Wood in Plan 9 From Outer Space avesse concentrato tutto il suo entusiasmo nella rifinitura dei modellini e nel trucco delle sue creature, con citazione annessa ai Looney Tunes.

Asteroid City è dunque il canto del cigno di un autore che sta esaurendo la sua verve, un film che – al netto degli evidenti problemi di scrittura – quindici/vent’anni fa avremmo salutato come una ventata d’aria fresca nel panorama della commedia fantascientifica ma che oggi sembra un prodotto scaduto. Il film ha tutta una serie di frecce al suo arco che ne nobilitano la caratura generale, ma se non fosse stato per la fotografia, le musiche e le invenzioni visive, Asteroid City non avrebbe raggiunto la sufficienza.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il look impeccabile, a cominciare dalla bella e particolarissima fotografia.
  • Scarlett Johansson e il suo personaggio, l’unico davvero degno di memoria.
  • Gli effetti speciali alla Ed Wood (ma fatti bene).
  • Narrativamente sconclusionato e con troppi personaggi, i più solo abbozzati.
  • È noioso e piatto.
  • Lo stile da dandy outsider di Wes Anderson, identico da 20 anni a questa parte, ha decisamente rotto le palle.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
Asteroid City, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.