Exodus – Dei e Re, la recensione
Avvolta dal turbinio storico/spettacolare/mitologico del rinnovato peplum, Hollywood continua il suo percorso anche biblico, così, dopo la pedestre ricostruzione del diluvio universale con il Noah di Darren Aronofsky e prima di rivedere il principe ebreo divenuto schiavo nel remake di Ben-Hur affidato a Timur Bekmambetov, oggi assistiamo alla storia di Mosè, portato sul grande schermo da Ridley Scott.
Exodus – Dei e Re è, di fatto, Il gladiatore di Ridley Scott feat. I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille, portando così a compimento quello che produttori e distributori hanno sempre rincorso da quando Scott ha firmato il suo più grande successo commerciale e lanciato Russell Crowe. Questo vuol dire che Exodus è lontanissimo dall’essere un film storico, piuttosto altalenante nel voler riproporre fedelmente gli scritti dell’Antico Testamento e interessato innanzitutto a portare sul grande schermo una storia appassionante e spettacolare che racconta il conflitto tra due persone tanto vicine quanto eticamente lontane.
In Exodus si parte quasi dal principio e troviamo Mosè, raccolto bambino dalle acque del Nilo da un’ancella del Faraone Seti, allevato dal sovrano d’Egitto come un figlio affianco al suo legittimo erede Ramses. Mosè è il generale dell’esercito di Ramses, un degno combattente che non manca neanche di salvare la vita in battaglia al fratellastro e, malgrado Seti gli riveli che preferirebbe lasciare il regno proprio a lui, l’improvvisa morte del Faraone lo porta prima a divenire consigliere di Ramses e poi al centro di un polverone che lo condurrà all’esilio dal regno. Quello che accade dopo è storia nota, con il palesamento di Dio agli occhi di Mosè e la riscossa dell’esiliato contro la tirannia di Ramses per la liberazione degli schiavi ebrei e la valorizzazione del proprio popolo dopo quattrocento anni di oppressione.
Scott si discosta in maniera incredibilmente lucida dalla lezione impartita nel 1956 dal film di DeMille e cerca uno stile moderno che comunque rappresenti in pieno quell’ambizione da kolossal hollywoodiano d’antan. La storia di Mosè raccontata in Exodus è più realistica, pur rimanendo contaminata dal fantasy biblico, e ci descrive principalmente la rivalità tra due fratellastri. È questo che interessa a Scott e l’elemento soprannaturale è abbastanza marginale, anche se rappresenta il fulcro della seconda parte del film e dà modo al cineasta di portare in scena tutta la spettacolarità di una produzione da 200 milioni di dollari. Exodus, infatti, è la storia del conflitto tra due personalità contrapposte ma allo stesso tempo molto forti, da una parte abbiamo Mosè, interpretato da un Christian Bale bravissimo e credibile, che da principe ebreo e generale egiziano si trasforma in condottiero di un popolo e – a detta della stessa divinità – generale di Dio. Dall’altra c’è Ramses, che ha le fattezze del Joel Edgerton di Warrior e Il grande Gatsby, principe e poi Re dal chiaro complesso di inferiorità che soffre all’idea di non essere stimato dal proprio padre. Tra i due viene a crearsi un rapporto molto simile a quello che Scott aveva già raccontato in Il gladiatore tra Massimo Decimo Meridio e Commodo, mostrandoci così come il rancore e il vizio del personaggio antagonista vada a forgiare un villain con un ritratto tanto caricaturale quanto ricco di partecipazione spettatoriale.
L’aspetto soprannaturale incluso in Exodus è incredibilmente laico, capace di mostrarci un Mosè guerriero (e visto il trend attuale non poteva essere altrimenti) ed esaltato in maniera non dissimile dalla sua nemesi Ramses. Il dialogo diretto tra Mosè e Dio nel film è raffigurato quasi come il vaneggiamento di un pazzo, una capacità profetica che giunge dopo un colpo alla testa e dall’idea di essere un profeta inculcata all’uomo dalle storie di vecchi del suo popolo. Mosè parla con un Dio che ai suoi occhi ha le sembianze di un bambino antipatico, supponente e capriccioso, un Dio che vede lui e nessun altro, con il quale dialoga a vuoto, come testimoniato dallo sguardo voyeuristico di uno schiavo (interpretato dall’Aaron Paul di Breaking Bad) che lo spia di frequente. Anche le piaghe che si abbattono sull’Egitto hanno una spiegazione razionale, come ci fa notare uno dei saggi alle dipendenze di Ramses, anche se poi, con l’avvicinarsi dell’epilogo, i tormenti che affliggono gli egiziani si fanno sempre più incredibilmente inspiegabili.
E diverte vedere come il Dio dell’Antico Testamento sia portato in scena con tanta fedele bastardaggine, un Dio razzista, sanguinario, divertito nell’uccidere e far soffrire gli avversari (il modo in cui annuncia e mette in atto lo sterminio dei bambini primogeniti è esemplare), insomma il vero villain della vicenda, capace di gettare quasi compassione sulla figura un po’ “sfigata” di Ramses.
Dietro questa visione ironicamente laica dell’episodio biblico c’è ovviamente una ricerca della spettacolarità cinematografica che diventa ben predominante su qualsiasi messaggio o ideologia. Scott realizza un kolossal che è tale in tutti i sensi, con scene epiche di battaglia, la scena del ritiramento delle acque ricca di pathos e la migliore raffigurazione delle piaghe bibliche che si sia mai vista su grande e piccolo schermo, con un innesco fatto di attacchi di coccodrilli killer che sembra preso dal miglior beast movie horror di sempre.
La lunga durata (circa due ore e mezza) era inevitabile, ma il film scorre che è un piacere, così ricco di ritmo e con un susseguirsi degli eventi appassionante. Non convince del tutto il cast di comprimari (John Turturro, Sigourney Weaver, Ben Kingsley) e soprattutto il modo in cui sono stati caratterizzati i personaggi secondari, che rendono palese come agli sceneggiatori importasse esclusivamente di Mosè e Ramses.
Exodus – Dei e Re è il ritorno al grande kolossal hollywoodiano di qualità, che strizza l’occhio al moderno cinema d’azione spettacolare (è proiettato anche in discreto 3D) e dipinge la vicenda biblica con uno sguardo laico che nel cinema mainstream mancava. Efficace e spettacolare.
Roberto Giacomelli
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