Il filo nascosto, la recensione
Il cinema di Paul Thomas Anderson è profondamente estetico, lo si era capito fin dagli esordi meravigliosamente pulp di Sydney e Boogie Nights, ne abbiamo avuto conferma nel surreal-drama Magnolia e nello sperimentale Ubriaco d’amore. L’estetica delle cose, dei sentimenti, degli ambienti è un punto fermo della sua filmografia, dunque, che trova una coerente quadratura proprio ne Il filo nascosto, un’opera che fa della bellezza e dell’eleganza uno dei suoi temi portanti. Ma come accade in ogni film di Paul Thomas Anderson, c’è una costruzione a strati: quello che vediamo inizialmente è solo la superficie ed è destinato a una svolta, spesso uno stravolgimento, capace comunque di creare un unicum coerente.
Ambientato nella Londra degli anni ’50, Il filo nascosto ci racconta la storia di Reynolds Woodcock, uno stilista di grande fama che vanta commissioni dalla famiglia reale e dalle più celebri personalità del mondo dello spettacolo. Reynolds vive con la sorella Cyril, che lo affianca anche nel suo atelier svolgendo un lavoro di segretaria e contabile. Ma la vita dello stilista sembra avere un vuoto che apparentemente non ha bisogno di essere colmato: l’amore. L’arcigno Reynolds, infatti, non sembra intenzionato a sistemarsi e vive il rapporto con le donne esclusivamente come impegno lavorativo; finché, un giorno, incontra la dolce cameriera Alma e ne rimane immediatamente folgorato. Alma è magra, longilinea, il “mannequin” perfetto per i suoi abiti e allo stesso tempo ha un temperamento fragile, sottomesso: una ragazza sognante alla ricerca del vero amore. I due iniziano una relazione, Alma va a vivere nella maison Woodcock, ma i due amanti sono profondamente diversi e la loro storia sembra destinata alla rottura, finché…
Ogni altra parola sarebbe un delitto per il futuro spettatore, perché Il filo nascosto su quegli strati di cui si parlava su costruisce una narrazione ipnotica e appassionante, come la firma d’artista che Woodcock nasconde nei risvolti dei suoi abiti. Ma anche se in questo film non ci fosse una sapiente scrittura, non importerebbe perché Anderson è un maestro nel narrare per immagini, capace di catturare l’attenzione semplicemente mostrando volti, scorci, dettagli, stanze.
Il suo talento come narratore possiede, dunque, una duplice valenza: di immagine e di scrittura. I personaggi de Il filo nascosto sono costruiti in maniera ineccepibile, mai banali, capaci di evolversi anche in maniera inaspettata e il merito è anche degli attori chiamati a interpretarli. Se Daniel Day-Lewis, che aveva già lavorato con Anderson ne Il Petroliere, è una certezza e ha scelto proprio questo film per dire addio alla recitazione, la vera rivelazione è Vicky Krieps. Trentacinquenne lussemburghese, una lunga filmografia ma praticamente sconosciuta al grande pubblico internazionale (piccoli ruoli in Hanna di Joe Wright e Colonia di Florian Gallenberger), la Krieps riesce a trasmettere con il suo personaggio grandi emozioni grazie a un volto particolarmente empatico, capace di far trasparire la fragilità e allo stesso tempo la tenacia di Alma, un Giano Bifronte essenziale per dare una svolta (non solo sentimentale) alla vita dello stilista Woodcock.
Quel valore estetico che indiscutibilmente permea tutta la filmografia di Paul Thomas Anderson e da cui è partita questa riflessione diventa in questo film endogeno. Si parla di moda ne Il filo nascosto, di abiti lussuosi, di belle donne pronte ad indossarli per esaltare la propria bellezza e la bellezza è al centro del racconto e dell’immagine. Un’immagine sempre perfetta, armoniosa con uno studio registico delle inquadrature che ha del maniacale perché deve essere in funzione con il raccontato. C’è una perizia tecnica ed estetica ne Il filo nascosto che mette quasi i brividi e dimostra, come se ancora ce ne fosse bisogno, che il suo regista è attualmente uno degli artisti più completi sul panorama internazionale.
Candidato a sei premi Oscar, sicuramente il nuovo lavoro di Paul Thomas Anderson non rimarrà a bocca asciutta perché riesce a far collimare la classicità con la modernità continuamente, tanto nel racconto che nelle immagini. Il filo nascosto è quel gran cinema che a primo acchito potrebbe catturare più che altro un pubblico di nicchia, ma in realtà è cinema all’avanguardia, ricco di spunti e sorprese, capace di catturare l’attenzione come pochi.
Roberto Giacomelli
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