Glass, la recensione
Nel 2000 abbiamo fatto la conoscenza di due personaggi in qualche modo iconici: il “super-uomo” David Dunn e il “super-criminale” Elijah Price, noto come Uomo di vetro. Con i volti rispettivamente di Bruce Willis e Samuel L. Jackson, i due definivano inconsapevolmente le basi per quello che sarebbe stato il cinema dei super-eroi, che da X-Men di Bryan Singer e Spider-Man di Sam Raimi, fino all’affermazione con i Batman di Christopher Nolan e il Marvel Cinematic Universe iniziato con Iron Man nel 2008, sarebbe diventato uno dei generi di maggior successo del panorama cinematografico. David Dunn ed Elijah Price erano i protagonisti di Unbreakable – Il predestinato, secondo lungometraggio di “peso” firmato da M. Night Shyamalan dopo il successo internazionale di The Sixth Sense – Il sesto senso.
Shyamalan, che è da sempre appassionato e grande esperto di fumetti e super-eroi, mette nella sua storia tutto quello che rappresenta il bagaglio culturale di un ragazzo cresciuto divorando albi Marvel e DC Comics e lo fa applicando questo immaginario al suo stile intimista e riflessivo, ovvero quello che aveva caratterizzato il successo di The Sixth Sense. Il risultato è un film unico, stupendo e struggente, che ha anticipato un intero filone avventurandosi incredibilmente in una riflessione a priori, una sorta di grado zero.
Nel 2016, invece, abbiamo fatto la conoscenza di Kevin Wendell Crumb, ma anche di Patricia, Dennis, Barry, Bestia e un’altra dozzina di personaggi che sono sempre Kevin Wendell Crumb, alias L’Orda, uno psicopatico rapitore, assassino e cannibale affetto da una grave forma di schizofrenia da personalità multipla. In questo caso era James McAvoy a dargli volto e il film era Split, horror/thriller che ha ridato a Shyamalan la notorietà commerciale che da troppo tempo latitava. Proprio sui credits finali di Split, che fino a quel momento aveva evaso la consueta struttura con twist finale tipica dei maggiori successi del regista e sceneggiatore, c’era una scena bonus che capace di porre l’intera vicenda di Crumb sotto una diversa ottica: il fatidico e insospettabile collegamento ad Unbreakable, con la comparsa di David Dunn pronto a mettersi sulle tracce de L’Orda.
In occasione della presentazione romana di Split, lo stesso M. Night Shyamalan tenne una masterclass con gli studenti di una scuola di cinema e spiegò che inizialmente Split era un elemento di Unbreakable, ovvero il personaggio di Kevin Crumb faceva parte della storia originale del film del 2000, poi escluso dalla stesura finale dello script perché non riusciva a dare il giusto approfondimento a tutti i personaggi. Quindi Split è un recupero, la concretizzazione di un progetto già strutturato che non aveva trovato compimento.
In seguito al successo unanime di pubblico e critica riscosso da Split, quel progetto, così come era inizialmente stato pensato, ha cominciato a prendere nuovamente forma dando vita a quella che oggi possiamo chiamare trilogia: quello che doveva essere un unico grande film nella mente dello sceneggiatore, nell’arco di ben 19 anni è diventato un progetto ampio e complesso strutturato in tre capitoli, di cui i primi due sono autonomi, il terzo, Glass, ne è una diretta e imprescindibile conseguenza.
Come potete notare dagli stessi titoli, ogni capitolo della trilogia omaggia un personaggio che, tirando le somme, è la chiave della storia raccontata. Se questo “gioco” in Unbreakable non era ancora stato avviato e quindi il film, pur essendo equamente suddiviso tra David Dunn ed Elijah Price, faceva riferimento al primo, in Glass si omaggia apertamente il secondo, qui ribattezzato Mr. Glass appunto.
In questo film ritroviamo David Dunn impegnato nella ricerca del supercriminale noto come L’Orda, che ha rapito quattro cheerleaders. David lavora insieme al figlio Joseph in un negozio che vende impianti di sicurezza e segretamente, sempre con il supporto di Joseph, è un vigilante impegnato nella protezione della sua città, ovviamente ricercato dalle forze dell’ordine per i suoi modi sommari. Quando David individua L’Orda, ne consegue uno scontro fisico che porta i due direttamente nelle mani della polizia. Entrambi vengono arrestati e affidati alle cure della dottoressa Staple, impegnata in una terapia intensiva atta a convincere i pazienti di non possedere alcun superpotere. Nell’ospedale psichiatrico in cui sono rinchiusi David e Kevin “L’Orda” Crumb, c’è anche Elijah Price, che quasi vent’anni prima era stato responsabile di una serie di attentati terroristici. In quanto convinto di essere una mente super-criminale, anche Elijah viene inserito nel programma di riabilitazione della dottoressa Staple.
Come si può intuire dalla trama, Glass è strettamente connesso con i due film precedenti, riprendendo le fila proprio dove terminava Split. Questa sua mancanza di autosufficienza, che in un’ottica prettamente cine-fumettistica è naturale vista la tendenza a creare “universi” narrativi, è il Cavallo di Troia di un film bellissimo e complesso forse destinato a non essere capito.
Infatti, Glass si sta tirando dietro un numero considerevole di critiche professionali negative – nel momento in cui si scrive, il film non è ancora uscito nei cinema in nessuna parte del mondo, quindi non si conosce il responso del pubblico – perché molti giornalisti, blogger, critici e influencer non lo hanno capito. Questo è un grosso K.O. per Shyamalan e per la Blumhouse che lo ha co-prodotto, perché si è dato per scontato che oggi tutti conoscano e abbiano visto Unbreakable che, a quanto pare, è molto meno popolare del previsto, con la conseguenza che la visione di Glass è viziata da una mancanza di basi per poter apprezzare appieno dell’illuminate potenziale che possiede.
Molto intelligentemente, se Unbreakable era involontariamente un film fondante, innovativo per le tematiche trattate e per la riflessione meta testuale che avanzava, Glass è un film che riflette a posteriori su un fenomeno, quello dei super-eroi, che nell’arco di diciannove anni si è propagato a dismisura, diventando tendenza. Shyamalan, dunque, non si limita a portare avanti l’arco narrativo dei suoi personaggi, anzi sembra piuttosto interessato a tenerli sullo sfondo, concentrandosi sul contesto, su quello che le persone pensano dei super-eroi: c’è chi li idolatra, chi li teme, chi li protegge, chi li compatisce e chi, invece, vuole renderli coscienti, guarda a loro per ammonire la società e per reprimere manie di grandezza e probabili psicosi. Quest’ultimo caso è rappresentato dalla dottoressa Staple, interpretata da una bravissima Sarah Paulson, forse la vera protagonista della storia in quanto sguardo esterno, sovrapposto a quello dello spettatore. L’introduzione di questo personaggio è lungimirante perché dona una lettura inedita e alternativa su tutta la vicenda, anche sui film precedenti. In effetti, seguendo il suo ragionamento, David e Kevin potrebbero benissimo avere delle turbe mentali escludendo, quindi, l’elemento soprannaturale, così come Elijah potrebbe essere semplicemente un ossessivo/compulsivo che ha viaggiato fin troppo con la fantasia, cercando compensazione al suo stato fisico. Una lettura che in parte stride con le certezze dello spettatore, ma riesce a creare un conflitto interiore nei personaggi che li conduce in lidi non così scontati.
Idee ce ne sono in Glass e vengono portate avanti con quella lungimiranza, delicatezza, empatia tipiche del miglior cinema di Shyamalan. Quel cinema che si concentra tantissimo sulla costruzione psicologica dei personaggi, sulla vicinanza allo spettatore, su un ribaltamento di prospettive che inevitabilmente a un certo punto lascia a bocca aperta.
Molto più vicino concettualmente ad Unbreakable che a Split, Glass si fa forte di un gruppetto di attori grandiosi. Se James McAvoy replica la performance di Split confermando la sua aderenza incredibile al personaggio di Kevin Crumb, Bruce Willis riprende una recitazione per sottrazione, una caratterizzazione fatta di sguardi sfuggenti, di parole non dette, di momenti d’attesa prima che d’azione. Samuel L. Jackson, che dei tre è quello che compare meno in schermo anche se è la chiave di volta, pronto a restituirci un Mr. Glass molto differente dall’Uomo di vetro che abbiamo conosciuto, un personaggio sofferente nell’animo e nel fisico, segnato da cicatrici e incattivito da anni e anni di reclusione. Torna il personaggio di Casey, interpretato da Anya Taylor-Joy e tornano anche Spencer Treat Clark e Charlayne Woodard che riprendono, rispettivamente, i personaggi del figlio di David Dunn e la madre di Elijah Price. Ognuno di loro ha un ruolo ben preciso nella storia, ognuno di loro è legato a un super-eroe, lo rappresenta all’esterno dell’istituto psichiatrico, ne è l’estensione che porta lo sguardo dello spettatore fuori le quattro mura in cui Shyamalan decide di ambientare la parte maggiore della vicenda.
Forse il limite primario di Glass è proprio la ristrettezza d’azione, la location quasi unica (l’ospedale psichiatrico) che cozza in parte proprio con quella riflessione meta testuale sui confini odierni del cinecomic. Un segnale palesemente dettato dalle logiche produttive Blumhouse, che diluisce l’enfasi dal climax infinito di Glass tenendo al guinzaglio l’azione e la spettacolarità annunciate, senza però mai tradire lo spirito sensazionalistico dello script.
Stratificato e intelligente, forse un giorno Glass sarà un cult. Oggi possiamo solo salutare l’ottimo ritorno di M. Night Shyamalan al modo di far cinema che l’ha reso famoso, la perfetta chiusura di una trilogia nata in itinere e capace di stupire film dopo film.
Roberto Giacomelli
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