Il nome del figlio, la recensione

È una giornata come tante e cinque persone, due coppie più un amico di vecchia data, hanno deciso di incontrarsi per cena e trascorrere una serata tranquilla in compagnia. Tra di loro c’è Paolo, un agente immobiliare estroverso e fin troppo burlone, e sua moglie Simona, incinta e da poco divenuta autrice di un best-seller un po’ piccante. La seconda coppia è composta da Betta, insegnante con due bambini, e da suo marito Sandro, scrittore e professore universitario precario. A completare il quadretto c’è Claudio, amico d’infanzia ed eccentrico musicista. Le premesse per trascorrere una serata allegra e spensierata ci sono tutte, peccato che la situazione è destinata a precipitare nel momento in cui Paolo annuncia ai suoi amici che è stato scelto il nome per suo figlio: Benito.

In un Paese come il nostro, in cui cinematograficamente parlando ci sarebbe ancora tantissimo da dire, continua inspiegabilmente questa moda del remake. A cadere sotto l’occhio vigile dei nostri sceneggiatori poco ispirati, questa volta, è la commedia francese Cena tra amici (in originale, Le Prénom) che solo qualche anno fa – era il 2012 – approdava sugli schermi internazionali. Tratto da una pièce teatrale, scritta da Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, anche registi della pellicola originale, il film individua il suo punto di forza nel voler sviluppare l’intera narrazione (quasi) esclusivamente all’interno di una casa. Tutto avviene all’interno di poche mura, l’azione verbale è tanta mentre quella fisica è davvero ridotta all’osso. Un film fatto da Attori, indubbiamente, e in cui la scrittura deve avere un meccanismo ad orologeria perfetto per poter funzionare davvero.

L’idea di prendere una manciata di attori, chiuderli dentro una casa e costringerli a discorrere del più e del meno fino all’inevitabile collasso ideologico non è certo l’intuizione del secolo. La storia del cinema è piena di esempi più o meno felici e solo qualche tempo fa, Polanski, ci ha regalato due esempi significativi con il discutibile Carnage e l’ancor più estremo Venere in pelliccia.

il nome del figlio 1

Appurato, dunque, che l’originalità non è di certo il piatto forte di questo film, non resta che scoprire se le restanti carte sono state giocate bene dal team di mestieranti nostrani capitanati da Paolo Virzì in produzione e da Francesca Archibugi, che torna alla direzione di un lungometraggio dopo una pausa meditativa di sei lunghi anni. Con questo film, la Archibugi ci offre un ritratto, del tutto irreale, di due famiglie italiane medio borghesi dai valori, morali ed etici, decisamente confusi: l’amicizia viene spesso a confondersi con l’amore, liti aspre vengono sopite in un secondo grazie ad improvvisi ed idilliaci canti di gruppo sulle note di Dalla ed ogni pretesto è utile per spingere i protagonisti ad intavolare sermoni politici. Ecco, proprio qui è ravvisabile il più grande problema del film. Un problema, in fin dei conti, che accomuna una buona parte di tutto quel cinema italiano pseudo-intellettuale o pseudo-autoriale: la politica.

Non si capisce per quale motivo, in Italia, fare cinema e far politica stia diventando quasi un’unica cosa così che la figura del “regista” (o dell’autore) tende a confondersi con quella del “politicante”. In un film come Il nome del figlio, dunque, era inevitabile che a fungere da scintilla per il tracollo della situazione fosse proprio un discorso di tipo politico portato avanti da un Luigi Lo Cascio che cerca di impartire ad Alessandro Gassman cosa sia politicamente giusto o sbagliato, cosa voglia dire essere comunisti o fascisti, trovando anche spazio per citare il Movimento cinque stelle. La veridicità dei dialoghi, spesso forzati e preda della saccenza, appare senza dubbio discutibile, ma fortunatamente il rimedio è dato dalle performance degli attori, tutti in stato di grazia, che riescono a tenere in vita un film dal fiato cortissimo e da una regia asciutta, ma piuttosto ritmata, in grado di dare il giusto ritmo ad un film che di ritmo non ne ha.

il nome del figlio 2

Alessandro Gassman continua a dimostrarsi un attore in enorme crescita e dopo la sua eccezionale performance nell’ultimo film di Ivano De Matteo, I nostri ragazzi, ci regala un’altra interpretazione del tutto notevole; allo stesso modo Luigi Lo Cascio ed anche l’onnipresente Rocco Papaleo. Una volta tanto, e qui si nota l’intervento di una regista donna, c’è spazio anche per dei ruoli femminili ben definiti ed interessanti, inscenati da una convincente Valeria Golino ed una brava Micaela Ramazzotti.

In definitiva, Il nome del figlio è un film che funziona solo a metà e che si lascia ricordare per soli due motivi: le buone performance degli interpreti e l’agghiacciante scelta (in stile Mondo Movie) di inserire, nel finale, le immagini reali del parto della Ramazzotti con tanto di venuta al mondo della figlioletta di Virzì.

 Giuliano Giacomelli

Pro Contro
  • Un film che si regge sulle performance di cinque attori in totale stato di grazia, tra cui si distingue in particolar modo un Alessandro Gassman sempre più in forma.
  • Francesca Archiubugi dirige senza perdersi in eccessivi virtuosismi ma riuscendo a tenere un ritmo alto e serrato dall’inizio alla fine.

 

  • Un remake di cui certo non se ne sentiva il bisogno.
  • La sceneggiatura, tra alti e bassi, si perde in eccessivi discorsi riguardanti la politica e dal retrogusto saccente e didascalico.
  • Le immagini reali, e personali, con il parto della Ramazzotti risultano fuori luogo e di cattivo gusto.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
Il nome del figlio, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.