Julieta, la recensione

“Madri sull’orlo di una crisi di nervi”, sono loro le donne di una parte della filmografia di Pedro Almodóvar che inizia con Tutto su mia madre, culmina con Volver e ritorna in Julieta. Nell’ultimo decennio, il regista spagnolo ha compiuto un viaggio di ricerca e introspezione nel suo cinema: con La pelle che abito ha sperimentato delle atmosfere nuove, non propriamente nelle sue corde, e con Gli amanti passeggeri sembra solo aver voluto prendere tempo per qualcosa di più grande. E questo qualcosa è Julieta, 20esimo film del regista in concorso al Festival di Cannes di quest’anno.

Almodóvar è tornato, sono tornate le sue donne, i suoi colori e le sue passioni. Ma la cosa veramente sorprendente è che l’uomo che ha fatto ritorno non è esattamente identico, non è una fotocopia sbiadita di se stesso, ed è questo a fare la differenza. Il regista ha dato prova che si può rimanere se stessi cambiando, cosa che risulta difficile a molti registi cinematografici: Julieta è la maturazione, crescita e nuova visione di tutto quello che abbiamo sempre visto e apprezzato nelle sue pellicole.

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Il film racconta le incertezze e le paure di essere madre; la protagonista, Julieta, tenta di vivere, o almeno sopravvivere, al senso di colpa e all’abbandono delle persone che ama, la separazione più difficile e quasi impossibile da accettare.

Il punto di partenza per la sceneggiatura sono stati tre racconti di Alice Munro (Fatalità, Fra Poco e Silenzio), completamente plasmati in ogni loro parte (dall’ambientazione ai personaggi). Non più un melodramma, ma un “drama seco”, come lo definisce lo stesso regista:  l’umorismo è quasi totalmente assente e ciò che contamina questo diverso tipo di dramma sono delle sfumature da noir. Almodovar non rinuncia mai a un pizzico di Hitchcock, di mistero, così da rendere la trama accattivante e immersa in una tensione invidiabile. In Julieta non si canta, tratto distintivo di quasi tutte le pellicole del regista madrileno, e si lascia il posto a lunghi silenzi (il titolo originale del film doveva essere Silencio), mai così tanti da un autore che ci ha abituati alle parole anche nei momenti più tragici (Parla con lei). Si abbandona lo stile barocco e ribelle degli esordi per un tratto più austero, asciutto e che probabilmente cela un regista più disilluso verso la vita. Ve lo avevamo detto che era cambiato.

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Ma una costante rimane invariata: l’assoluta centralità dell’universo femminile. Almodóvar sceglie due attrici diverse per il ruolo di Julieta, personaggio che attraversa un arco temporale di 30 anni. Una scelta inusuale date le tecniche di invecchiamento del trucco, che diventa quasi paradossale quando notiamo che tra le due attrici, Adriana Ugarte ed Emma Suarez, non c’è la minima somiglianza. Almodóvar confessa che non sono le rughe che lui vuole mostrare, ma il trascorrere del tempo e il passaggio del dolore, dentro come fuori. In una scena da antologia del cinema, un semplice shampoo segna il cambiamento definitivo di Julieta che diventa un’altra donna, consumata dal senso di colpa e dalla perdita.

La storia viene raccontata attraverso una classica struttura a flashback ed inizia su un treno (luogo cinematografico di grande spessore e significato), dove Julieta entra in contatto diretto con la vita e con la sua fine. Ognuno di noi, compreso ogni regista, risponde in maniera diversa alla morte. Almodóvar risponde con il sesso. Sembra che l’amore fisico, l’incontro umano nell’atto sessuale sia l’unico antidoto all’ansia della morte. Le figure femminili descritte sono forti, caparbie, ma c’è sempre qualcuno di imbattibile: il fato. All’inizio del film, un incontro fortuito distrugge il debole castello di carte creato da Julieta: la protagonista sembra non seguire un percorso né crescente né decrescente, ma ciclico. Lo stesso processo interessa il rapporto madre-figlia nella seconda metà del film: Antia, la figlia di Julieta, è costretta a diventare adulta prima del tempo, ma, crescendo, farà le stesse azioni e sentirà il peso delle stesse colpe della madre.

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Le separazioni sono pane quotidiano per Almodóvar, ma questa volta la sorpresa più grande è stato scoprire che tutto quello che ci aspettavamo da lui non c’era più e aveva lasciato posto ad altro. E cosa c’è di più bello di essere rapiti da un regista che continua a scoprirsi e a scoprire la vita.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Julieta incarna tutte le donne e le storie di Almodóvar e, allo stesso tempo, riesce a essere qualcosa di completamente nuovo.
  • Le sfumature da noir rendono la narrazione interessante e coinvolgente.
  • Cast impeccabile. Adriana Ugarte ed Emma Suarez sono l’ennesima prova che Almodóvar scova talenti e bellezza con ogni suo film.
  • Che i maschi siano lasciati in disparte è cosa comune, ma Antia, la figlia di Julieta, meritava un’attenzione maggiore

 

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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Julieta, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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