La Casa, la recensione del reboot del 2013
Mia viene portata dai suoi amici Olivia ed Eric e da suo fratello David nella baita in montagna in cui passava le vacanze da bambina; i quattro, in compagnia anche della fidanzata di David, sono intenzionati a trascorrere un lungo weekend tra i boschi con lo scopo di aiutare Mia a iniziare il suo cammino per disintossicarsi. Infatti, la ragazza, dopo aver rischiato l’overdose per eroina, ha deciso di farla finita con la droga. Esplorando la cantina, i ragazzi trovano però una brutta sorpresa: i sotterranei della casa sono addobbati con gatti morti impiccati al soffitto. In mezzo a quell’orribile spettacolo, Eric trova uno strano libro avvolto nel filo spinato, il volume sembra molto antico e scritto in una lingua incomprensibile, ma alcune sue parti sono state tradotte. Quando il ragazzo comincia a leggere ciò che vi è scritto, qualcosa di antico e molto malvagio si risveglia nei boschi e comincia a possedere uno ad uno i ragazzi, cominciando proprio da Mia.
Quando nel 2012 arrivò nei cinema il magnifico Quella casa nel bosco, pensavamo che Andrew Goddard avesse messo una pietra tombale sul classico canovaccio dei giovani intrappolati in una casa e massacrati da un’entità di qualsiasi tipo. In effetti è difficile pesare a qualche cosa di nuovo o innovativo dopo quell’hellzapoppin’ sceneggiato in collaborazione con il papà di “Buffy” Josh Whedon, ma il trucco sta tutto nell’attuare una semplicissima strategia di pensiero trasversale. Come dire qualche cosa di ancora interessante e minimamente nuovo su un argomento così inflazionato? Semplice, basta rinunciare alla “vera” novità e tornare proprio lì dove tutto è iniziato, a quel capolavoro che risponde al titolo di The Evil Dead, La Casa, per gli spettatori italiani.
E così è accaduto, perché il remake, pardon, il reboot di The Evil Dead è un qualche cosa di sorprendente, un delirio di violenza estrema che rielabora in modo intelligente e convincente il materiale di base per farne un film tutto nuovo e, una volta tanto, realmente pauroso.
La genesi di questo remake va cercata nel lontano passato, nell’intenzione da parte del buon Sam Raimi di dare un proseguo al suo cult L’armata delle tenebre, cosa che fino al 2013 non era mai riuscita tra impegni sempre più costosi per il regista e idee poco chiare sul come far proseguire la storia (desiderio poi avvenuto con la serie in tre stagioni Ash vs Evil Dead). E così, tra una promessa ai fan non mantenuta e qualche strizzata d’occhio nei suoi blockbuster, Raimi alla fine ha ceduto alla remake-mania, affidando il riavvio della saga al giovane esordiente uruguaiano Fede Álvarez, che aveva colpito il regista della trilogia di Spider-Man per un corto su un’invasione aliena cliccatissimo su You Tube, Ataque de pànico (potete vederlo qui).
Raimi, dal canto suo, ci avrebbe messo i soldi, producendo per la sua Ghost House Pictures, insieme agli amici e colleghi Robert Tapert e Bruce Campbell, dando piena libertà creativa al filmaker e al suo sceneggiatore Rodo Sayagues, che hanno portato a casa un risultato con i fiocchi!
Come è giusto che fosse per la reale utilità di un remake, La Casa versione 2013 prende le distanze dal film del 1981 fornendo uno sviluppo inedito e davvero riuscito alla storia che tutti noi conosciamo.
Già l’intro è esplicativa, visto che siamo immediatamente catapultati nel passato, dove possiamo avere un assaggio della nefasta influenza che le presenze che si aggirano attorno alla baita hanno sugli esseri umani. Dopo il breve e già promettente prologo, veniamo a conoscenza dei personaggi principali dell’avventura, dello stesso numero ma differenti per caratterizzazione (e nomi) da quelli creati da Sam Raimi.
Scopriamo subito il nuovo trait d’union che lega protagonisti, luoghi e motivazioni della loro presenza: niente spensierato weekend tra amici, ma tentativo di aiutare a disintossicarsi una di loro dalla dipendenza da eroina. E già da questo elemento sono palesi le intenzioni di Álvarez, fermo sull’idea di affrontare il film con serietà drammatica invece che quell’ironia quasi surreale che ha contraddistinto le opere di Raimi (soprattutto i sequel).
Il parallelismo tra possessione demoniaca e astinenza da stupefacenti non è cosa nuova, visto che un paio di anni prima anche Eduardo Sanchez ci ha provato (con risultati meno esaltanti) con Lovely Molly, a cominciare proprio dal volere di insinuare il dubbio che la vicenda sia reamente soprannaturale o il tutto faccia parte del delirio della tossicodipendente. Ma Álvarez gioca con questo dubbio solo sul piano intradiegetico, palesando giustamente allo spettatore l’intervento demoniaco fin dai primi minuti. Il demone della droga è dunque solo una sottotraccia, un parallelismo che vive tra le righe, abbandonando poi la vicenda a un festino splatter di quelli che non si vedono sul grande schermo troppo frequentemente.
Vicino all’idea di violenza estrema caratteristica di certo cinema francese post 2000, Álvarez ci va giù pesantissimo con la truculenza, mostrandola in maniera realistica e allo stesso tempo estremante esagerata. I corpi dei giovani protagonisti vengono martoriati nel peggiore dei modi, con amputazioni, squarci e atti di autolesionismo davvero impressionanti e il tutto viene mostrato sempre nell’estremo dettaglio, a volte quasi fastidioso nella sua insistita ostentazione (l’ago della siringa sotto l’occhio e il braccio appeso al resto del corpo solo da un brandello di carne ne sono due esplicativi esempi). L’estetica della violenza e la violazione dei corpi umani raggiungono nel reboot de La Casa livelli altissimi, accentuati anche dal realismo degli effetti speciali che limitano fortunatamente la computer grafica a piccoli “aggiustamenti”, lasciando il grosso a make-up, protesi e tanto liquido rosso.
Come si diceva, sbrigati i doverosi rituali che legano questo film al canovaccio originale, La Casa 2013 prende una strada autonoma, sia nell’andamento della mattanza che nello sviluppo dei personaggi, fermo restando che alcuni elementi topici del film originale – come la scena della sepoltura, il ciondolo e l’utilizzo della motosega – sono rimasti e integrati nella storia evadendo il semplice omaggio.
Soddisfacente anche la gestione dei personaggi, fortunatamente lontani dalle solite macchiette da teen horror e ligi a mantenere un tenore di serietà costante in linea con la storia. Ovviamente per lo più si tratta di carne da macello utile ad avere un sufficiente body-count, però questi personaggi hanno quella dignità che ci permette di affezionarci a loro e, soprattutto nel caso di Mia, interpretata da una bravissima Jane Levy, abbiamo anche un personaggio ben tratteggiato e complesso, in particolare per gli sviluppi metaforici che la conducono a sfidare letteralmente il suo demone personale.
Tra tutti i remake e reboot piovuti da venti anni a questa parte, La Casa è tra i più riusciti, capace di rielaborare con cognizione di causa un classico del passato e riuscendo a dire qualche cosa di nuovo su una storia che negli anni è stata raccontata tante, troppe volte. Inoltre, Fede Álvarez sa costruire davvero la tensione e il suo film ha dei momenti di paura realmente efficaci, in grado di tenere letteralmente incollato lo spettatore alla poltrona.
Non fuggite subito dalla sala a fine film, dopo i titoli di coda c’è una sorpresina (piccola, piccola) per tutti i fan della precedente trilogia.
Roberto Giacomelli
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