L’Esorcista del Papa, la recensione

Il filone esorcistico è uno dei più codificati tra quelli appartenenti al genere horror e, di conseguenza, tra i più complessi da scrivere e realizzare. Questa complessità deriva essenzialmente da due fattori: il vero caposaldo e tutt’ora pietra di paragone per qualsiasi film esorcistico è arrivato troppo presto e non è mai stato eguagliato, parliamo ovviamente de L’Esorcista di William Friedkin; quello esorcistico è uno dei filoni più prolifici con il risultato che, negli ultimi 50 anni, ci siamo trovati tra le mani opere tutte incredibilmente troppo simili tra loro. Quindi gli scogli sono essenzialmente: il confronto con il vero insuperato capolavoro di cinquant’anni fa e la difficoltà di raccontare qualcosa di nuovo in un filone che ha dei cardini narrativi e figurativi obbligati e imprescindibili.

In pochi, anzi pochissimi, sono infatti i film esorcistici che negli ultimi 20 anni hanno lasciato il segno, tra i quali The Exorcism of Emily Rose (2005) di Scott Derrickson e The Conjuring – L’evocazione di James Wan, entrambi effettivamente capaci di sfruttare gli elementi topici del filone per fornire una variazione sul tema sufficientemente forte da scalfire l’immaginario.

Oggi arriva nei cinema L’Esorcista del Papa di Julius Avery, a pochi mesi di distanza dall’anonimo Gli occhi del Diavolo di Daniel Stamm, e di nuovo iniziano le scommesse su quanti mesi o addirittura giorni questo film rimarrà sedimentato nell’immaginario collettivo degli spettatori. Ma già il trailer de L’Esorcista del Papa aveva stimolato la curiosità dei più perché si intuiva da quella manciata di minuti che in casa Sony Pictures stavano covando qualcosa che, nel bene o nel male, avrebbe destato l’attenzione più della maggioranza dei film esorcistici distribuiti annualmente.

L’Esorcista del Papa, infatti, è un film talmente esagerato, sopra le righe e irresponsabile verso la materia che tratta che odora di cult ad ogni fotogramma.

Dal 1986, Padre Gabriele Amorth esercita come Esorcista nella diocesi di Roma e il suo operato suscita scalpore tra i colleghi e le più alte cariche del Vaticano perché il suo approccio al Maligno è particolarmente fisico, in contrasto con la più moderna concezione cattolica del Diavolo come concetto, idea. Nonostante questa “antipatia” di cui è oggetto nell’ambiente, Padre Amorth gode del benestare dello stesso Papa reggente e viene chiamato per seguire i casi più complessi di possessione demoniaca che, a sua stessa detta, il 98% delle volte sono sintomo di problemi psichiatrici di cui deve occuparsi la medicina. A preoccupare è il restante 2%, al quale appartiene anche il caso del piccolo Henry, un bambino americano che ha da poco perduto il padre e si trova in Spagna insieme alla madre Julia e alla sorella maggiore Amy, all’interno della ex abbazia di San Sebastian, che la famiglia ha ereditato e che sta ristrutturando per trasformarla in un resort. Henry, infatti, mostra tutti i segnali di una vera possessione demoniaca alla quale il giovane prete locale, Padre Esquibel, non riesce a tenere testa.

Ignorate la didascalia iniziale che presenta L’Esorcista del Papa come un film tratto da eventi reali e cercate anche di dimenticare che sui titoli di coda c’è scritto che il film è tratto dai libri di memorie di Gabriele Amorth. Se vi fissate sul “presunto” realismo da “storia vera” immaginando un racconto rigoroso e inquietante come The Exorcism of Emily Rose rimarrete irrimediabilmente scottati. Perché, di fatto, L’Esorcista del Papa è la “cazzata” più poderosa che vedrete quest’anno al cinema e quella strada dell’eccesso exploitativo è perseguita con convinzione ogni singolo fotogramma al punto tale che quello diretto da Julius Avery è il film esorcistico più spudoratamente horror, senza contaminazioni di sorta, tra quelli che sono passati sul grande e piccolo schermo negli ultimi anni.

E qui sorge un dubbio importante: perché legare questo horror “hard-boiled” al nome di Padre Gabriele Amorth, conosciuto in tutto il mondo e deceduto solo sette anni fa? Così non solo si finisce per creare delle false aspettative ma si rischia anche di irritare qualcuno… e infatti l’Associazione Internazionale degli Esorcisti, fondata nel 1994 dallo stesso Padre Amorth, non solo ha preso completamente le distanze dal film ma lo ha anche prevedibilmente boicottato con le seguenti parole: “L’esorcismo così rappresentato diventa uno spettacolo finalizzato a suscitare forti e malsane emozioni, grazie ad una scenografia cupa, con effetti sonori tali da suscitare soltanto ansia, inquietudine e paura nello spettatore. Il risultato finale è di infondere la convinzione che l’esorcismo sia un fenomeno abnorme, mostruoso e pauroso, il cui unico protagonista è il demonio, le cui reazioni violente si possono fronteggiare con grande difficoltà; il che è l’esatto contrario di ciò che si verifica nel contesto dell’esorcismo celebrato nella Chiesa Cattolica in obbedienza alle direttive da essa impartite”.

Prevedibilissimo. E infatti, Julius Avery, che ricordiamo come regista dell’ottimo nazi-horror Overlord e del super-hero movie con Sylvester Stallone Samaritan, condensa in 105 minuti un po’ tutta la exploitation che può con trasformazioni mostruose (molto mostruose!) degli indemoniati, tanti effetti speciali (alcuni molto cheap), momenti splatter abbastanza imprevedibili, nudi femminili, scene d’incesto, inquietanti figure mariane, frecciatine agli abusi sessuali in Vaticano, azione massiccia e ironia che sembra uscita da un buddy-cop movie americano anni ’80.

È un oggetto strano L’Esorcista del Papa, un film troppo di nicchia (quella dei film horror puri) per essere considerato commerciale ma, allo stesso tempo, troppo commerciale per abbracciare quella visione dell’horror autoriale che sta prendendo piede in questi anni. E quindi rimane lì, in quel limbo alla ricerca del suo pubblico che sicuramente troverà perché, come si diceva qualche periodo più su, quello di Julius Avery si presta davvero a diventare un cult per il filone di riferimento, tra momenti tanto idioti da risultare divertenti e apoteosi mostruose da horror anni ’80. Insomma, un “so bad it’s so good” d.o.c..

La sceneggiatura di Michael Petroni e Evan Spiliotopoulos, al di là della puntuale congiuntura di tutti i cliché del filone, offre anche degli spunti interessanti su una fantasiosa teoria che giustifica l’azione della Chiesa Cattolica nella Storia e fornisce al Maligno un piano decisamente originale e stuzzicante.

Particolare anche la scelta di utilizzare un’unità di spazio e tempo tale da far svolgere il film quasi in tempo reale, concentrando un importante lasso della sua durata proprio sul corpus dell’esorcismo.

Ah, ovviamente c’è Russell Crowe nel ruolo di Padre Amorth, un attore che sta visibilmente cercando una nuova dimensione artistica (talvolta svendendosi) e che è la ciliegina sulla torta di questo film assurdo: fisico imponente, volto cinematografico incredibile, carisma da vendere, a cavallo della sua Lambretta e battutina sempre pronta per un prete esorcista decisamente sopra le righe, come non se ne erano mai visti prima.

Diventerà una saga? Il finale sembra guardare in quella direzione e io, quasi quasi, ci spero.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Abbraccia a 360° il mondo dell’exploitation risultando molto godibile perché dannatamente eccessivo e fuori di testa.
  • Russell Crowe: non c’entra niente con il vero Padre Amorth ma ha una presenza scenica incredibile.
  • I risvolti narrativi sul piano del Maligno sono piuttosto originali e ben architettati.
  • È una cazzata a tutto tondo e se cercate un horror serio e spaventoso rimarrete delusi.
  • Legare un film di questo tipo al vero Padre Amorth è un po’ un autogol.
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