Life, la recensione
La celeberrima rivista Life torna, dopo I Sogni Segreti di Walter Mitty, a essere il nocciolo artistico attorno a cui ruota l’omonima pellicola diretta da Anton Corbijn (La Spia – A Most Wanted Man), in sala dall’otto ottobre con BIM Distribuzione. La pellicola è un biopic non canonico che racconta i complessi e talvolta dolorosi retroscena dietro uno degli shooting più famosi della storia. Siamo nel 1955, anno in cui il già citato rotocalco pubblicò un servizio fotografico, a cura del giovane Dennis Stock, dedicato all’allora emergente James Dean. Il rapporto tra Dennis e Jimmy, interpretati rispettivamente da Robert Pattinson e Dane DeHaan, va di pari passo con la genesi degli scatti, tutt’altro che priva d’imprevisti.
Corbijn sceglie il suo primo amore, l’obiettivo fotografico, per narrare con travagliata passione parte della vita di un’icona non solo del cinema, ma della cultura mondiale. La figura di James Dean, dai modi noncuranti e dall’incedere inconfondibile, sarebbe infatti divenuta, di lì a poco, rivoluzionario emblema di una generazione, malgrado la carriera breve (appena tre film) eppure fulminante. Stock fu probabilmente il primo a intuire il gigantesco potenziale celato dietro quel giovane imprevedibile e la necessità di imprimerne l’inesprimibile forza espressiva su pellicola.
Il film, snodandosi attraverso situazioni e ambienti diversificati, approfondisce con cura due ritratti umani uniti da un ingente bagaglio emotivo e un passato fatto di ferite ancora aperte. La fotografia, inoltre, è a tutti gli effetti coprotagonista della diegesi, facendosi efficace portatrice di un modo di raccontare i sentimenti unico e peculiare, proprio di nessun altro mezzo espressivo. Un’arma a doppio taglio in grado di consacrare al successo ma anche di appiccicare una scomoda etichetta pubblica, o di smascherare l’intimità. Una riflessione, dunque, anche sulla percezione che possiamo avere di noi stessi dall’esterno, che è condotta con oculata profondità e rappresenta l’elemento più interessante del lungometraggio.
Si fa Portatrice di questa tematica la volubile e labile dinamica tra Stock, fotografo, e Jimmy Dean, il suo soggetto. Un passo a due a ritmo si scatti, costantemente filtrato e mediato dalla macchina fotografica, impietosa testimone di ogni aporia emotiva e concreta.
Life, tuttavia, non può proprio dirsi un prodotto altrettanto riuscito sul piano narrativo. Nel complesso manca di ritmo e stenta ad appassionare, trascinando quasi ogni sequenza a passo di lumaca e favorendo la pesantezza delle palpebre anche dello spettatore più volenteroso. È un peccato che a un soggetto così accattivante corrisponda uno sviluppo sottotono, non aiutato neanche dalla qualità delle interpretazioni. Se si esclude il sempre impeccabile Sir Ben Kingsley, nei panni di un intransigente Signor Warner, i protagonisti non si lasciano ricordare per intensità né particolare attinenza al ruolo.
Il talentuoso Dane DeHaan ce la mette tutta, ma il suo James Dean manca di magnetismo e non esce mai davvero dal blando recinto della pallida imitazione. Si stenta a percepire sullo schermo la carica anti convenzionale dell’attore contraddittorio e fuori dagli schemi che avrebbe inciso per sempre il suo volto nella storia della settima arte. Pattinson, a sua volta, non regala a Dennis il carisma necessario a suscitare l’empatia del pubblico, nonostante la curiosità che la figura del giovane artista in cerca della sua strada potrebbe e dovrebbe stimolare. Nel film, anche la curiosa presenza di Alessandra Mastronardi, disinvolta interprete dell’attrice Pier Angeli.
Life avrebbe tutte le carte in regola per cogliere nel segno e conquistare un’amplissima fetta di pubblico. Purtroppo gli evidenti punti deboli nella sceneggiatura e nelle performance ne fanno un esperimento in gran parte fallito. Si tratta, però, di un prodotto visivamente preciso dalla spiccato simbolismo metacinematografico. E che, se non altro, ha il merito di ricordare (o far conoscere) un personaggio indimenticabile e insostituibile come Jimmy Dean, facendo luce su aspetti inediti della sua storia e personalità. Inoltre, perché no?, stuzzicherà a recuperare o rispolverare la visione di East of Eden, bellissima opera del maestro Elia Kazan.
Chiara Carnà
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