Midsommar – Il villaggio dei dannati, la recensione

In questi anni stiamo assistendo alla rinascita del cinema horror d’autore. Una pratica che in passato ha salutato il contributo al genere di grandi maestri della settima arte come Roman Polanski, Brian De Palma, Nicolas Roeg e Stanley Kubrick – solo per fare i nomi più celebri – oggi sta tornando con prepotenza grazie a piccoli casi mediatici che si traducono sovente anche in buoni successi commerciali. Uno dei massimi esponenti di questa new wave orrorifica autoriale è senza ombra di dubbio Ari Aster, fattosi notare lo scorso anno con l’eccezionale Hereditary – Le radici del Male e ora pronto con il suo secondo lungometraggio: Midsommar – Il villaggio dei dannati.

Quello di Aster è un modo di far cinema estremamente riconoscibile che in soli due film ha già espresso in estrema chiarezza dei punti cardine, dei temi ricorrenti e uno stile molto personale. Come accadeva in Hereditary, infatti, anche Midsommar parte da due macro-temi che vengono poi sviscerati in un racconto votato al disagio, a un’estrema repellenza nel mostrato e nel suggerito. I due temi sono la famiglia, inquadrata come castrante vaso di Pandora dalla cui apertura fuoriescono i peggiori mali, e la religione, intesa come ancestrale liberazione degli istinti più animaleschi dell’essere umano. Il fil rouge che collega le due opere dell’autore statunitense, apparentemente diversissime, è dato proprio a questi due temi, fortemente presenti e fondanti dell’intero racconto.

midsommar

In Midsommar – Il villaggio dei dannati si racconta la tragica esperienza di Dani, una ragazza ventenne che in un solo colpo ha perso tutta la sua famiglia. Distrutta dal dolore e incapace di elaborare il lutto, Dani viene coinvolta dal suo ragazzo Christian in un viaggio in Svezia in occasione della festa per il solstizio d’estate. A proporre l’avventura è stato il coinquilino di Christian e suo compagno d’università Pelle, che vuole portare i suoi amici nel villaggio da cui proviene, fondato da una comunità dedita al culto della Natura: un’occasione per approfondire gli studi antropologici che Christian ha intrapreso ma anche per divertirsi, visto che in quei giorni si celebra il festival di metà estate che Pelle assicura essere un’esperienza unica e mai vista altrove. Christian, Pelle, Dani insieme ai compagni d’università Josh e Simon partono alla volta della Svezia, nel periodo in cui la terra è illuminata dal sole quasi 24 ore al giorno, ma non sanno che li aspetta una delle vacanze più terrificanti e allucinanti che essere umano possa immaginare.

Midsommar

Midsommar – Il villaggio dei dannati si apre con un incipit potentissimo: i primi dieci minuti del film di Aster sono quanto di più perturbante e doloroso si sia visto al cinema negli ultimi anni. Il lutto è descritto con tale trasporto e intensità da arrivare a coinvolgere e travolgere anche lo spettatore. Del resto accadeva già in Hereditary, in cui tutto partiva da una perdita in famiglia, ma il luttuoso picco arrivava a metà strada, quando il dolore per la morte di una figlia e sorella innescava un orrore atavico e impalpabile. In Midsommar quello che in Hereditary era un plot twist è utilizzato come premessa e posto in apertura: Dani ha perso ogni cosa la legasse alla realtà, non ha più nulla da perdere e l’avventura al seguito dei suoi amici è l’inizio di una nuova ipotetica vita. Aster ci dà subito il “la” e seguendo alcune regole basilari dell’horror turistico/vacanziero, immerge lo spettatore in un orrore progressivo, accompagnandolo per mano in un percorso accomodante che pian piano si fa sempre più allucinante e allucinatorio.

Midsommar - Il villaggio dei dannati

L’atmosfera straniante è fondamentale per il passaggio dal dramma umano e famigliare all’orrore puro e fisico delle pratiche religiose a cui poi il film si abbandona. Aster mira a disorientare lo spettatore che si immedesima completamente nei personaggi, soprattutto nella protagonista interpretata da una magnifica Florence Pugh. In Svezia, nel villaggio di Pelle, viene a mancare completamente un áncora con la realtà quotidiana e non solo perché si è al di fuori della civiltà, quasi immersi un altro spazio/tempo, ma anche per la difficoltà nello stabilire la progressione temporale. La mancanza dell’alternanza giorno/notte disorienta, rende stanchi e i personaggi si trovano immersi in una sorta di limbo in cui il sole è sempre alto in cielo e diventa difficile distingue la realtà dall’illusione. Perché, come se non bastasse, il popolo del solstizio d’estate è solito utilizzare sostanze allucinogene diluite nelle bevande, che a loro conferiscono resistenza, vigore ed esperienze mistiche assicurate, ma nei giovani americani provocano solo confusione e nausea.

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Aster è bravissimo nel trasmettere tutte le sensazioni che i personaggi provano e Midsommar diventa quasi un’esperienza sensoriale per chi assiste. È innegabile che il film porta a provar fastidio durante i 140 minuti abbondanti, fa parte del gioco, si tratta di un’opera volontariamente respingente ma allo stesso tempo ipnotica e immersiva; sa mettere a disagio, creare disorientamento, però affascina e, se lo spettatore riesce a stare al gioco, se ne vuole sempre di più.

La famiglia negata a Dani è inversamente proporzionale alla grande famiglia di cui fa parte Pelle, un nucleo compatto e solidale legato da un culto pagano che esce da ogni logica antropologica nota. Non scendiamo in particolari per non negare la sorpresa della visione a nessuno, ma va detto che Midsommar si addentra in territori affini al mini-filone folk-horror, quello di cui fa parte il capolavoro di Robin Hardy The Wicker Man, per intenderci, a cui Ari Aster ha sicuramente guardato con avidità, ma si spinge oltre puntando a picchi di estremismo abbastanza disturbanti, dove il sangue – nella variante splatter – e il sesso giocano un ruolo fondamentale. Per questo motivo, al di là della dimensione religiosa, Midsommar si lega all’epilogo di Hereditary per carica disturbante, per follia esponenziale che sfocia in quel grottesco repellente e affascinante al tempo stesso.

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Ari Aster con Midsommar – Il villaggio dei dannati ha firmato un’opera unica nel suo genere, un film monumentale e stranissimo, difficile da catalogare e sicuramente adatto a far scaturire dibattiti, ad essere amato alla follia e odiato senza riserve. A parere di chi scrive, Midsommar è uno dei più preziosi esempi di cinema horror odierno, quello libero da vincoli e da compromessi, sfacciato e aperto a più chiavi di lettura. Un gioiellino da tenere ben caro!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una vera esperienza immersiva: nelle due ore e venti munti di durata si finisce per immedesimarsi completamente con la protagonista!
  • Un’atmosfera allucinata e repellente che sa mettere davvero a disagio.
  • Florence Pugh, bravissima.
  • La durata può essere un problema per qualcuno.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Midsommar - Il villaggio dei dannati, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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