Oldboy: perchè dopo 18 anni è ancora un grandissimo film

Il 2003 è un anno cruciale per il cinema sudcoreano, travolto da una vera e propria rinascita autoriale che lo ha portato all’attenzione internazionale.

Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera di Kim Ki-duk vince ben 4 premi al Festival di Locarno ed è il primo film dell’autore a ricevere una visibilità internazionale consistente con conseguente successo di pubblico. Sempre nel 2003 Im Sang-soo scandalizza il Lido di Venezia con La moglie dell’avvocato, un dramma erotico che raggiunge un successo incredibile fuori dai confini sudcoreani. Mentre Kim Ji-woon conquista il pubblico internazionale con lo struggente e spaventosissimo Two Sisters, vincendo al Fantasia, allo ScreamFest e a Gérardmer. Lo stesso anno Park Chan-wook presenta al pubblico Oldboy, vince il Gran Prix speciale della Giuria a Cannes, due premi principali a Sitges e la statuetta come miglior film straniero ai British Independent Film Awards del 2004.  

Quella che possiamo chiamare “nouvelle vague” del cinema sudcoreano porterà nel 2020 al primo Oscar come miglior film assegnato a una produzione sudcoreana, Parasite di Bong Joon-ho, perfetto coronamento di un percorso iniziato quasi vent’anni prima e costellato di successi e vittorie artistiche incontestabili.

C’è da dire, comunque, che nell’immaginario collettivo di una generazione, forse il film che più di tutti gli altri, fino a Parasite, ha colpito il pubblico occidentale ed è sopravvissuto alla prova del tempo (e della memoria) è proprio Oldboy di Park Chan-wook. Un film di genere che è anche un film d’autore, punta di una personalissima trilogia, la trilogia della vendetta, che Park ha iniziato nel 2002 con Mr. Vendetta e concluso nel 2005 con Lady Vendetta, con la quale ha esplorato le più grette e animalesche pulsioni umane con un lirismo e una poesia (sempre intrisi di pulp) incredibili.

Oldboy è, dunque, dal nostro punto di vista, il vero simbolo della rinascita cinematografica postmoderna sudcoreana.

Oldboy

Il film di Park Chan-wook, forte della vittoria a Cannes, arrivò nei cinema italiani nel maggio 2005 a un anno esatto dal premio assegnato dal presidente di giuria Quentin Tarantino, che per la promozione internazionale diventò una sorta di marchio di qualità («il film che avrei voluto fare» firmato Quentin Tarantino, era il claim che accompagnava l’uscita italiana di Oldboy). All’epoca, in Italia, il film non andò benissimo al botteghino portando a casa poco più di 400 mila euro, ma per un film di nicchia proveniente da un Paese quasi sconosciuto dai nostri spettatori era comunque un successo per Lucky Red, all’epoca piccolo distributore che puntava moltissimo – come oggi che è tra i maggiori distributori italiani – sul cinema di qualità e di matrice festivaliera. Ma negli anni Oldboy è diventato un cult, anche in Italia, riscoperto in rassegne di cinema, citatissimo (il nome di Tarantino continuava a far da traino) e perfino oggetto di un remake a stelle strisce, nel 2013, diretto da Spike Lee e interpretato da Josh Brolin ed Elizabeth Olsen, molto più riuscito di quel che si dica in giro.

Oldboy

A sedici anni dalla prima uscita, torna (dal 9 giugno) nelle sale, sempre grazie a Lucky Red, la versione restaurata di Oldboy. Il film, che si presenta nel suo formato originale di ripresa 2.35:1, con audio 5.1., è stato rimasterizzato in 4K nel 2019, realizzato attraverso la scansione del negativo originale 35mm, con la supervisione costante del regista Park Chan-wook. Il lungo processo di rimasterizzazione, durato un anno, è stato effettuato in una suite certificata Dolby Vision in Corea del Sud e per il nuovo grading è stato scelto il formato HDR, che ha prodotto un risultato superiore alla masterizzazione originale per la visione Home Theatre, grazie allo sfruttamento dell’intera gamma dinamica presente sul negativo originale.

Tratto da un manga giapponese in otto volumi, creato nel 1997 da Tsuchiya Garon e disegnato da Minegishi Nobuaki, Oldboy racconta la storia di Oh Dae-su, marito e padre di una bambina di quattro anni che, dopo essere stato fermato dalla polizia per ubriachezza molesta, viene rapito e rinchiuso in una prigione privata, senza sapere per quanto tempo vi rimarrà. Dopo quindici anni, durante i quali si è allenato tutti i giorni al combattimento ed è stato accusato dell’omicidio si sua moglie, Dae-su viene rilasciato e ha un unico desiderio: vendicarsi. Ma prima deve scoprire chi lo ha rapito e perché. Mido, una ragazza incontrata in un sushi bar, lo ospita in casa sua e decide di aiutarlo a risolvere il mistero ma la scoperta della verità sarà per Dae-su solo l’inizio del suo reale incubo.

Oldboy

«Ridi e il mondo riderà con te. Piangi e piangerai da solo» è la massima ricorrente nella storia di Dae-su, una storia costellata di assurde cattiverie e grottesche rivelazioni in cui un viso sorridente e allo stesso tempo disperato è l’unica soluzione possibile a un epilogo senza via di uscita. Un Giano Bifronte che racchiude allo stesso tempo l’amore e l’odio, la vittoria e la sconfitta, la bellezza e la mostruosità. Dae-su, interpretato dal magnifico Choi Min-Sik, che era già noto grazie al film Ebbro d’amore e di pittura (2002), è il perfetto ago della bilancia in una società che ti accoltella e poi dimentica di averlo fatto, una società insensibile e inconsapevole dei mostri che genera. Nel momento in cui Dae-su “sbaglia”, seppur con leggerezza, firma la sua condanna a morte; la sua prigionia lo rende determinato e interessato a scoprire una verità che ha sempre conosciuto e la sua liberazione, dopo 15 anni, è solo simbolica perché, come più volte si sostiene nello stesso film, è finito solo in una prigione più grande.

Oldboy è colmo di ironia, la scena subito successiva alla liberazione di Dae-su con il suicida e la signora distinta nell’ascensore è esplicativa del leitmotiv grottesco dell’opera, mutuato con fedeltà dal fumetto d’origine, allo stesso tempo Oldboy è drammaticissimo, cattivo. È come se unisse Il Conte di Montecristo ai risvolti di un film dell’orrore raccontando legami struggenti, voglia di rivalsa uniti a colpi di scena terrificanti e scene di una violenza grafica molto pesante. La tortura dei denti è sicuramente la più rappresentativa, ma la sequenza cult che ha fatto perfino scuola nel cinema d’azione contemporaneo è il lungo pianosequenza laterale in cui Dae-su affronta a colpi di martello una folla di uomini armati in un corridoio.

Oldboy

Park Chan-wook porta in questo film il suo stile a massimi livelli, diventando poi rappresentativo della sua filmografia successiva. Le inquadrature hanno una costruzione geometrica e spesso c’è un’impostazione teatrale della scena (sublimata poi in Lady Vendetta), la fotografia tendente al verde e all’arancione, a colori acidi, è in forte contrasto con il bianco finale, un candore che rappresenta la consapevolezza e la rinascita. La colonna sonora è un altro elemento fondamentale del film, in grado di accompagnare con enfasi drammatica le scene madri come in un’Opera, con temi musicali dal taglio classico, a tratti anche epico come se si trattasse di un western.

Oldboy è forse una delle opere più rappresentative del cinema del terzo millennio, una perfetta sintesi di generi, temi e suggestioni mutuati da media differenti e ricomposti in maniera originale e personale in un film che non ha ancora vent’anni ma è già in classico del cinema.

Roberto Giacomelli

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