Poker Face, la recensione

Russell Crowe ci aveva già provato nel 2015 a ricoprire il ruolo del regista, oltre che interprete, con il dramma The Water Diviner; il risultato non era incoraggiante e l’ambizione superava la qualità generale del film. Un campanello d’allarme più che un goffo esordio perché all’opera seconda dietro la macchina da presa l’ex Gladiatore fa anche peggio e Poker Face risulta un maldestro thriller con le idee poco chiare e la fattura generale di uno straight-to-video.

Jake Foley ha un passato da giocatore d’azzardo e un presente da milionario, dal momento che ha brevettato e fatto i soldi con un avveniristico sistema informatico di sicurezza nato dalla sua passione per il poker. Jake però nasconde anche un segreto che vorrebbe condividere con i suoi quattro amici d’infanzia, ma deve essere certo di potersi fidare di loro e per questo, dopo aver acquistato da uno sciamano un potente siero della verità, invita i suoi amici per una partita a poker che è però la scusa per metterli alla prova. Il piano di Jake va a rotoli quando un gruppo di ladri, capitanato da una sua vecchia conoscenza, si intrufola nella sua abitazione per derubarlo proprio mentre si sta svolgendo la rimpatriata con i suoi amici.

Poker Face inizia come se fosse Stand by Me, con questi cinque ragazzini negli anni 70, amici fraterni, che devono sfuggire da un gruppo di bulletti che vogliono derubarli e così, facendosi forza, si gettano da un’altura in un fiume. Il salto non è solo fisico ma anche temporale e troviamo il protagonista alle prese con la sua passione per l’arte, intento ad ammirare un dipinto in un museo con la conseguente proposta di una aspirante ritrattista di diventare il soggetto della sua opera.

Che c’entra questa apertura nel presente? Niente se non per dirci che a Jake Foley piace l’arte.

Da questo momento in poi, il nuovo film di Russell Crowe, anche sceneggiatore, sembra tutto un po’ random, come se il soggetto fosse il risultato di quel gioco che si faceva da adolescenti in cui si scrivevano cose assurde su dei bigliettini e si estraevano a sorte per costruire una folle storia. E così vediamo Jake che va in una zona rurale per passare del tempo con uno sciamano, che prima di vendergli il siero della verità gli conferisce massime di saggezza stile spot pubblicitario, poi conosciamo la famiglia di Jake e un matrimonio ormai naufragato, poi seguiamo il buon Jake nell’organizzazione della serata di poker e così via, fino al cuore del film, la rimpatriata con sorpresa che porta il film nei territori della home invasion.

C’è molta confusione nello script di Crowe, si percepisce proprio una sovrabbondanza di elementi che mal si amalgamano trasmettendo una fastidiosa sensazione di disordine. E se per due terzi aleggiava l’ombra del thriller psicologico, la svolta quasi action finale mostra solo un tentativo in extremis di salvezza, la classica via più semplice per uscire da un cul de sac in cui ci si era impantanati.

Ma poi ci sono cose poco convincenti sparse lungo tutto il percorso. Il personaggio di Elsa Pataky – la croupier – non sembra avere una vera funzione nella storia, come se avessero tagliato delle scene che la riguardano, inoltre, somiglia fisicamente e nel look a Brooke Satchwell che interpreta la moglie di Jake con un effetto confusione che non aiuta affatto. In alcuni punti, quando entrano in scena i ladri, c’è anche qualche siparietto ironico che francamente non c’entra nulla con il tono generale del film e perfino la morale finale della storia, molto ancorata al denaro e al potere, non è di certo un gran bel messaggio.

Insomma, al di là della sempre ottima presenza scenica di Russell Crowe, si fatica non poco a trovare ragioni per cui salvare Poker Face… e allora non lo salviamo!

A fine visione si ha la sensazione di aver assistito a uno di quei brutti action/thriller che quindici anni fa trovavamo direttamente sugli scaffali delle videoteche, quelli che vantavano sulla locandina i nomi di Stephen Baldwin, Eric Roberts, William Forsythe o Casper Van Dien, solo che Poker Face è fatto con più soldi e meno senso del ritmo.

Teniamoci stretto Russell Crowe per l’ottimo interprete che è, la regia non sembra fare al caso suo.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Se vi piacciono le storie che cambiano continuamente pelle Poker Face di certo non si risparmia su questo.
  • Il soggetto sembra assemblato random, estraendo bigliettini da un bussolotto.
  • RZA, incomprensibile come qualcuno lo faccia ancora recitare!
  • Somiglia a un brutto thriller di quelli che uscivano direttamente in dvd una quindicina di anni fa.
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