Sherlock: da Doyle alla BBC il successo continua!
Durante un viaggio in treno tra Cardiff e Londra nell’autunno del 2008, Steven Moffat e Mark Gatiss, due dei più importanti autori della BBC, parlando dei rispettivi interessi letterari scoprono di condividere una grande passione per Sherlock Holmes, il popolare personaggio inventato dallo scrittore Arthur Conan Doyle nella seconda metà dell’Ottocento. È così che nasce in loro il desiderio di realizzare una nuova serie televisiva ispirata alle avventure del grande detective.
Sherlock Holmes è il personaggio letterario che ha avuto il maggior numero di adattamenti tra cinema e televisione, il primo per il grande schermo risale al 1905. L’ultima serie televisiva inglese tratta dal canone, venne prodotta dalla Granada television tra il 1984 e il 1994 e fu un grandissimo successo di pubblico.
Con questa pesante eredità alla spalle, Moffat e Gatiss decidono di proporre alla BBC un nuovo soggetto, ma al fine di svecchiare il contenuto dei racconti e darne una lettura innovativa, stabiliscono di spostare l’ambientazione dalla Londra Vittoriana a quella contemporanea.
Secondo i piani iniziali dei due autori e della produzione, la serie doveva essere composta da 6 episodi di 60 minuti l’uno, da girare tra la metà e la fine del 2009. L’episodio pilota proposto alla BBC non soddisfaceva pienamente le aspettative e temendo un flop, viene chiesto agli autori di rivedere il format della serie, limitandosi alla creazione di 3 episodi della durata di 90 minuti l’uno.
Il primo episodio “Uno studio in rosa”, va in onda il 25 luglio 2010 su BBC one, il giorno dopo sui giornali e per strada non si parla d’altro: la serie viene rinnovata per una nuova stagione, che andrà in onda nel gennaio dal 2011.
Nei due anni che intercorrono tra la seconda e la terza stagione, la popolarità di Sherlock sale alle stelle, al punto da diventare un fenomeno mediatico di portata mondiale, che oggi coinvolge anche paesi come la Cina e il Giappone, storicamente restii di fonte a produzioni estere.
Gli interpreti dei due protagonisti, Benedict Cumberbatch (Sherlock Holmes) e Martin Freeman (John Watson), sono divenuti star di fama mondiale grazie al successo della serie, tanto da essere ingaggiati oltreoceano per ruoli di spicco in grandi produzioni USA.
Ma cosa c’è alla base di un simile successo?
Si tratta di una fortunata chimica, costituita da una scrittura brillante che dosa sapientemente umorismo e dramma, una regia raffinata e delle interpretazioni superbe, sopra ai canoni inglesi normalmente molto alti.
Steven Moffat è probabilmente uno dei più grandi autori che la televisione britannica (e la televisione in generale) abbia mai avuto. Oltre ad aver scritto alcuni dei più riusciti e complessi episodi di Doctor Who (storica serie tv fantascientifica, in onda dal 1963), è stato showrunner di Jekyll, un’altra miniserie in cinque episodi ispirata al romanzo “Lo strano caso del dottor Jackyll e Mr. Heyd” di Stevenson.
Tra le cose che rendono Sherlock un piccolo gioiello, c’è la maestria con cui gli autori sono riusciti ad adattare alcuni fondamentali dettagli legati all’universo del canone. Così nella Londra metropolitana, troviamo un giovane dottor Watson, medico militare e reduce dalla guerra in Afghanistan, che come il suo alter ego vittoriano è alla disperata ricerca di un appartamento e di un coinquilino, viene presentato quasi per caso da un conoscente comune al bizzarro e intrattabile Sherlock Holmes.
Al loro primo incontro Sherlock stupisce immediatamente John, deducendo in pochi secondi da alcuni dettagli tutta (o quasi) la storia della sua vita: dall’abbronzatura sui polsi e dal portamento capisce che proviene dall’esercito, dal modo in cui cammina che la sua zoppia è di origine psicosomatica e dal suo cellulare che ha un fratello alcolizzato di nome Harry.
Dove lo Sherlock Holmes del diciannovesimo secolo deduceva la dipendenza del fratello di John attraverso l’analisi del suo orologio da taschino, qui è lo smartphone a tradire Harry, ma anche il grande detective può sbagliare,
John Watson: Io e Harry non andiamo d’accordo, mai andati. Clara e Harry si sono lasciati tre mesi fa e hanno chiesto il divorzio. Ed Harry ha il vizio del bere.
Sherlock Holmes: Ho fatto centro. Non mi aspettavo di avere ragione su tutto.
John Watson: Harry è il diminutivo per Harriet..
Sherlock Holmes: Harry è tua sorella!
(da “Uno studio in rosa”)
La regia dinamica ci accompagna durante le lunghe e difficili deduzioni del detective, visualizzando le considerazioni che Holmes fa tra sé e sé, mentre analizza la scena del crimine.
È dopo la risoluzione del primo caso insieme, che John decide di cominciare a scrivere un blog in cui racconta le sue avventure con l’amico. John Watson diventa quindi narratore, come nel canone avveniva attraverso gli appunti che il dottore prendeva durante i casi, destinati una volta ordinati alla pubblicazione.
Una serie di soluzioni strategiche contribuiscono a collocare più strettamente le vicende nella nostra epoca, con cellulari e portatili sempre o quasi presenti in scena. Sherlock Holmes non fa pubblicazioni cartacee ovviamente, ha un sito internet “The Science of Deduction”, non propriamente di successo, cosa che il buon Watson non smette mai di ricordargli.
Ma è da ricercare nell’alchimia tra i due protagonisti, a mio avviso, il vero e principale traino della serie.
Sherlock Holmes e John Watson sono il centro assoluto attorno a cui ruota l’intera vicenda. Tutti vorremmo poter coltivare nella vita un’amicizia così intensa e speciale, unica, in cui basta un solo sguardo per capirsi. Un rapporto, che spesso viene messo a dura prova da entrambi, ma che alla fine ne esce sempre cresciuto e rafforzato. Cumberbatch e Freeman danno il meglio di loro in questa interpretazione, offrendo le mille sfumature di due personaggi che tutti conoscono, ma che nessuno prima aveva mai visto in questa luce.
Vengono affiancati da un cast di tutto rispetto, di cui fa parte lo stesso Mark Gatiss non solo autore, ma anche interprete di Mycroft, fratello di Sherlock.
Il fandom della serie è vastissimo e, considerata la sua giovinezza, sicuramente destinato ad aumentare man mano che le stagioni proseguiranno. Nei due anni di attesa che hanno segnato il passaggio dalla seconda alla terza stagione dello show, il loro apporto è stato fondamentale per non far perdere l’attenzione del grande pubblico, al punto che gli autori hanno deciso di omaggiarlo con alcuni riferimenti all’interno del primo episodio della terza stagione.
Sembra davvero che come nell’Ottocento, Sherlock Holmes con le sue incredibili deduzioni non abbia ancora smesso di stupire e intrattenere.
Susanna Norbiato
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