Spider-Man: Homecoming, la recensione
La vita cinematografica dell’Uomo Ragno è piuttosto articolata e longeva, tanto da farne l’eroe Marvel Comics più “sfruttato” da Hollywood. L’amichevole Spider-Man di quartiere, che ha avuto i natali nel lontano 1962 per mano Stan Lee e Steve Ditko, ha cominciato la sua avventura sul grande schermo già nel 1977, quando arrivò nei cinema L’Uomo Ragno, episodio cinematografico della serie tv The Amazing Spider-Man prodotta da CBS, a cui fecero seguito L’Uomo Ragno colpisce ancora (1978) e L’Uomo Ragno sfida il Drago (1979). Dopo la serie e i film interpretati da Nicholas Hammond, in molti si interessarono a un adattamento cinematografico del fumetto, da Roger Corman a Menahem Golan e Yoram Globus della Cannon Films, fino a James Cameron, che era a un passo da portare al cinema in grande stile il super-eroe contro l’Uomo Sabbia ed Electro in quel degli anni ’90.
Come in effetti sono andate le cose è noto a tutti e ad aggiudicarsi la regia di Spider-Man è stato Sam Raimi che realizzò nel 2002 il bellissimo film interpretato da Tobey Maguire, Kirsten Dunst e Willem Dafoe, seguito da un ancor più riuscito Spider-Man 2 (2004). Anche se un quarto capitolo era già previsto, la saga di Sam Raimi si fermò a tre nel 2007, finché, con la diffusione capillare dei cinecomix, la Columbia Pictures e la Sony Pictures Entertainment tentarono la carta del reboot: nel 2012 è arrivato The Amazing Spider-Man, che racconta nuovamente le origini del personaggio, stavolta interpretato da Andrew Garfield, e si tinge di una tonalità più dark e drammatica che un po’ ricorda la trilogia nolaniana su Batman. Il film portava la firma di Marc Webb, che ha diretto anche il sequel nel 2014, The Amazing Spider-Man 2: Il potere di Electro. Ma da grandi budget derivano grandi responsabilità e il film non ha realizzato l’incasso sperato, il che non solo ha fatto tramontare l’idea di un terzo film, ma ha bloccato sul nascere anche gli annunciati spin-off su Venom e I Sinistri Sei.
Ci spostiamo in avanti di due anni e troviamo un nuovo Spider-Man (e dunque un nuovo Peter Parker), ma questa volta il personaggio è inserito nientemeno che nel Marvel Cinematic Universe: grazie a un accordo con Marvel Studios, la Sony ha ceduto parte dei diritti cinematografici per far sì che l’Uomo Ragno entrasse a far parte del canone e così troviamo la prima nuova comparsata di Spider-Man in Captain America: Civil War, che annuncia già nella scena dopo i titoli di coda il film da solista dell’Uomo Ragno.
E siamo finalmente al 2017 e al nuovo esordio con un film a sé di Spider-Man, ovvero Spider-Man: Homecoming, dove l’eroe ha il volto di Tom Holland, per la prima volta un attore realmente giovane che introduce una nuova variante di genere nel fantastico mosaico dell’MCU, il teen-movie.
Il “ritorno a casa” del titolo è emblematico perché se da una parte si riferisce al ballo scolastico che celebra il rientro di una squadra della scuola dopo una competizione (in questo caso decathlon culturale), dall’altra allude chiaramente al ritorno all’ovile-Marvel del personaggio più iconico e amato della celebre Casa delle idee.
In Spider-Man: Homecoming il regista e sceneggiatore Jon Watts – che abbiamo conosciuto per i riuscitissimi Clown e Cop Car – decide intelligentemente di non realizzare un nuovo film sulle origini del personaggio. Così troveremo un Peter Parker già dotato di poteri (si fa solo un veloce cenno verbale al morso del ragno) e non più traumatizzato dal lutto per la morte di zio Ben, probabilmente avvenuta molto tempo prima (“quante ne ha passate” riferito a zia May). Al contrario, abbiamo un personaggio ottimista, iperstimolato e pieno di vita, tutto preso dalla promessa fattagli da Tony Stark sulla possibilità di poter tornare in azione al fianco degli Avengers. Eppure quel costume hi-tech donato da Stark e il filo diretto con la guardia del corpo di Tony, Happy Hogan, non sembrano portare mai a un reale coinvolgimento nell’azione e Peter si ritrova a vigilare sul suo quartiere sventando furtarelli e aiutando le vecchiette a trovare la strada di casa. Finché la sua grande occasione bussa alla porta: si tratta di Adrian Toomes, noto come Avvoltoio, un criminale che sta realizzando armi letali grazie alla tecnologia aliena dei Chitauri, sottratta durante l’invasione di New York del 2012.
Con un prologo ambientato otto anni fa, proprio all’indomani dei fatti raccontati in Avengers, e un salto temporale che lo colloca durante Civil War, per trasportarlo poi ai giorni nostri, Spider-Man: Homecoming si presenta come uno dei più felici film sull’Uomo Ragno realizzati fino ad oggi.
La forza dell’opera di Watts sta senza dubbio nell’ottima sceneggiatura che mostra una gestione dei tempi, una scrittura dei dialoghi e una delineazione dei personaggi degne di nota. Il film è strutturato come un teen-movie classico, con ambientazione scolastica, prime cotte adolescenziali e la difficoltà di essere accettati dai coetanei; ma ovviamente tutto questo deve scontrarsi con la particolarità che contraddistingue Peter e che ne fa un super-eroe. In questo dato, Spider-Man: Homecoming ha il pregio di riportare con i “piedi per terra” i Marvel Studios quasi ai tempi del primo Iron Man, raccontando una vicenda più intima e più vicina all’empatia umana del protagonista. In questo aiuta anche la felice scelta degli interpreti, dal momento che Tom Holland è un Peter Parker credibile e uno Spider-Man incosciente al punto giusto, proprio come sarebbe un ragazzo di 15 anni dotato di poteri sovrannaturali. Ma un grande merito va anche a Michael Keaton e al suo Adrian Toomes/Avvoltoio, ad oggi uno dei migliori villain dell’MCU.
Abbiamo constatato che, Loki a parte, i Marvel Studios non hanno mai puntato troppo sui cattivi, solitamente anonimi e intercambiabili tra loro, concentrandosi, invece, sugli eroi. L’Avvoltoio è l’eccezione che conferma la regola, un personaggio con delle motivazioni condivisibili, che conduce una sua personale battaglia morale contro i potenti e si fa veicolo di un colpo di scena che arriva in maniera così puntuale e inaspettata da lasciare il segno. Adrian è il proletariato che si ribella ai soprusi della classe dirigente, un eroe del popolo che passa alla criminalità perché viene costretto a farlo, dal momento che gli è stato strappato via il lavoro e il futuro da chi di certo non ha bisogno di denaro e ricchezza, ovvero Tony Stark. E questo porta a una nuova riflessione su come le azioni dei “buoni” siano direttamente responsabili dei mali della società, tematica già al centro del perspicace Civil War.
Ad affiancare Avvoltoio nel parterre villains del film ci sono Herman Schultz, in arte Shocker, interpretato da Bokeem Woodbine, che porta una versione modificata (ed elettrificata) dei temibili guanti che Crossbones aveva all’inizio di Civil War, e Mason, alias il Riparatore, punta di diamante dell’officina meccanica di Toomes, interpretato da Michael Chernus.
Il giusto spazio viene dato anche a Tony Stark, che ha sempre il volto istrionico di Robert Downey Jr., fondamentale per fare da collante tra questo film e gli altri dell’MCU… a tal proposito, Spider-Man: Homecoming riesce ad entrare nella “saga” con tale naturalezza da far quasi pensare che ci fosse un unico grande disegno dietro, avvalorato dalla conferma della tesi dei fan – ora assunta a canone da Marvel Studios – che il bambino mascherato come Iron Man che ferma con un gesto i robot di Justin Hammer in Iron Man 2 fosse proprio un giovanissimo Peter Parker.
Spider-Man: Homecoming è dunque il miglior reboot che si potesse immaginare per la figura dell’Uomo Ragno, capace di non far pesare minimamente il fatto che in soli 15 anni il personaggio è stato portato al cinema addirittura tre differenti volte. Un film fresco, divertente, ricco di ritmo e ben scritto che porta ancora alta la bandiera dei film Marvel Studios come esempio più compiuto di moderno intrattenimento cinematografico.
Ormai è superfluo dirlo, ma non alzatevi fino alla fine dei titoli di coda, stavolta si ride… soprattutto di noi stessi.
Roberto Giacomelli
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