TFF38. Breeder, la recensione

Quando il cinema (di genere) mette i suoi affilati artigli su tematiche (fanta)scientifiche che riguardano l’ingegneria generica, la manipolazione cellulare o il biohacking e promette prodigi sfidando Dio non c’è mai da star tranquilli perché si sa, c’è sempre un prezzo molto caro da pagare per raggiungere un obiettivo così alto. Non fa eccezione Breeder, durissimo thriller/horror di nazionalità danese che parte da uno spunto pseudo-scientifico come il perseguimento dell’eterna giovinezza per sconfinare nelle maglie del torture porn più cruento.

Diretto da Jens Dahl, sceneggiatore del primo Refn (Pusher – L’inizio), qui al suo secondo lungometraggio da regista dopo il drammatico 3 Ting, Breeder ci racconta la storia della sportiva Mia, arrivata a un punto cruciale nella relazione con Thomas: lei vorrebbe un bambino, ma lui ha perso il desiderio e non riesce più neanche a far l’amore con lei. Inoltre Thomas è legato professionalmente con la dottoressa Ruben, che conduce misteriose ricerche sul ringiovanimento cellulare. Quando la vicina di casa di Mia e Thomas bussa alla loro porta insanguinata e sotto shock, l’uomo si propone di accompagnarla in ospedale, ma quando Mia si rende conto che il marito l’ha invece condotta nella clinica della dottoressa Ruben, decide di far chiarezza da sola. Grosso errore…

Breeder

Con l’algida e asettica atmosfera tipica di certo cinema nordeuropeo, Breeder sembra promettere dagli spunti narrativi che ne animano il soggetto orrori chirurgici e incubi scientifici nello stile del primo Cronenberg, invece, così come hanno fatto le Soska Sisters con il remake di Rabid, Jens Dahl decide lasciare l’aspetto scientifico sullo sfondo e addentrarsi negli insospettabili territori del torture porn, in voga fino a una decina di anni fa come conseguenza del successo di Saw e Hostel.

Dopo una preparazione utile a inquadrare i personaggi e creare la giusta empatia con Mia, che è interpretata con trasporto dalla bella e brava Sara Hjort Ditlevsen, il film vira pesantemente verso il morboso mostrando una certa fascinazione feticista per le secrezioni corporee e in particolare verso l’urina. Si, può apparire bizzarro ma Breeder cerca la via del disagio e del disgusto immergendo i suoi personaggi nella sporcizia, inzuppandoli di piscio, imbrattandoli di polvere, fango, liquido amniotico e forse anche merda.

Breeder

Il regista gioca sui contrasti e trasforma in ambienti fetidi e fatiscenti quelli che sarebbero dovuti essere i corridoi e le stanze di una clinica, popolati da bruti sporchi e pervertiti in abiti da lavoro manovale, che si fanno simbolicamente chiamare con nomi di animali, al posto di infermieri ed inservienti in camice bianco. Al di sopra di questo gioco al rialzo, in cui vige la legge del disagio in una costruzione scenografica e narrativa che si rifà al filone “women in prison”, c’è un arguto gioco delle parti che spesso è proprio di questo genere di film: i soldi possono comprare la vita umana e il narcisismo dei benestanti si nutre letteralmente del bisogno dei meno abbienti.

Breeder

Colpo di coda finale e Breeder acquista anche un valore femminista, indubbiamente molto grezzo e da b-movie, ma anche efficace nel mettere in scena una rivincita dal duplice valore: woman empowerment e allo stesso tempo sovvertimento sociale. Anche se c’è da specificare che in Breeder la donna è vittima e anche carnefice, quindi apice e falda della società, perché gli uomini sono visti solo come esecutori o pedine ed è il sesso femminile a dominare in tutti i frangenti della storia, risultando centrale in ogni sviluppo che il film prende.

Breeder

Non privo di ingenui scivoloni narrativi che palesano l’anima nerissima da b-movie (il backgound di Thomas e le circostanze che portano Mia nei guai), Breeder è un gustoso giocattolino di genere che sembra stare un passo avanti a tutta la bassa macelleria generata da quei 2-3 titoli di qualità che hanno alimentato la moda del torture porn. Il film di Dahl sembra voler dire più di quello che in effetti dice, ma a conti fatti ha una forte efficacia di genere.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Riesce a intavolare un discorso sociale sui ruoli della donna che è meno banale di quello che può inizialmente sembrare.
  • Se apprezzate il filone torture porn, questo è diverse spanne sopra la maggior parte dei suoi esponenti.
  • Molto brava l’attrice protagonista e il suo ruolo non è affatto semplice.
  • Il discorso scientifico alla base del film è da barzelletta.
  • C’è qualche scivolone narrativo, soprattutto nella second parte, ma nulla di compromettente.
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