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Calibro 9, la recensione
Il trend del sequel tardivo aveva catturato l’attenzione del cinema italiano di genere all’inizio del terzo millennio, rimescolando le carte della commedia all’italiana con tentativi di rinverdire alcuni dei successi italiani del glorioso periodo a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Possiamo citare, infatti, Febbre da Cavallo – La mandrakata, L’allenatore nel pallone 2, Eccezzziunale veramente – Capitolo secondo…me, Il ritorno del Monnezza, ma anche La Terza Madre, per cambiare genere, operazioni per lo più fallimentari che – Mandrakata a parte – ci hanno detto che rivangare successi del passato nel cinema italiano non è solo palesemente anacronistico, ma anche dimostrazione di difficile adattabilità alla contemporaneità produttiva per un format che funzionava 30 o 40 anni prima.
TFF38. The Oak Room, la recensione
Peter Genoway, sceneggiatore esordiente del thriller “da camera” The Oak Room, deve amare molto il cinema di Quentin Tarantino, in particolare la scrittura e i personaggi del celebre autore di Pulp Fiction, perché il suo primo lungometraggio da sceneggiatore somiglia senz’altro a Le iene e The Hateful Eight, ma soprattutto suona come una dilatazione di quel frangente di Desperado in cui Tarantino era impegnato nel ruolo di attore e il compagno Rodriguez dirigeva e scriveva imitando alla perfezione lo stile dell’amico impegnato davanti la mdp.
TFF38. Funny Face, la recensione
Una maschera fluttua nell’aria, cade forse dal cielo e ondeggiando sceglie il suo nuovo corpo. La maschera riproduce un volto sorridente e grottesco, per certi versi richiama una caricatura di Ronald Reagan, che curiosamente era stata al centro della horror comedy The Tripper, ma in realtà è un viso standard, vicino, se vogliamo, alle maschere inquietanti di The Purge. È quel volto deformato ma sorridente a scegliere chi dovrà indossarlo, chi dovrà essere posseduto. Perché, non lontano da quello che accadeva in The Mask con Jim Carrey, la maschera sgancia i freni inibitori del suo ospite, dà vita al suo vero io, libera le pulsioni più istintive, violente, amorali. Questo è il succo di Funny Face, l’opera quinta di Tim Sutton, regista e sceneggiatore che si era già fatto notare nel 2016 con il controverso Dark Night.
TFF38: tutti i vincitori del Torino Film Festival 2020
TFF38. Breeder, la recensione
Quando il cinema (di genere) mette i suoi affilati artigli su tematiche (fanta)scientifiche che riguardano l’ingegneria generica, la manipolazione cellulare o il biohacking e promette prodigi sfidando Dio non c’è mai da star tranquilli perché si sa, c’è sempre un prezzo molto caro da pagare per raggiungere un obiettivo così alto. Non fa eccezione Breeder, durissimo thriller/horror di nazionalità danese che parte da uno spunto pseudo-scientifico come il perseguimento dell’eterna giovinezza per sconfinare nelle maglie del torture porn più cruento.
TFF38. Lucky, la recensione
May scrive libri motivazionali indirizzati a un pubblico femminile e, nonostante il successo dei suoi manuali, il rinnovo del suo contratto è in forse tanto che la voglia di partecipare all’ennesima presentazione con firma-copie proprio non ce l’ha. Una notte, qualcuno si intrufola nella casa in cui May vive con suo marito Ted: è un uomo mascherato e armato di coltello che la aggredisce. Ma Ted non è affatto sorpreso della cosa, affermando che la stessa situazione si palesa ogni giorno e anche la polizia, arrivata non appena l’aggressore è scomparso, sembra non prendere troppo sul serio questa storia. Il mattino dopo, Ted risulta irrintracciabile e May, giorno dopo giorno, riceve la “visita” dell’aggressore mascherato. Ma cosa sta succedendo nella vita della donna?
TFF38. The Dark and the Wicked, la recensione
Il cinema horror americano negli ultimi anni sta seguendo diverse strade, una delle quali è indicativa del punto di saturazione che il settore ha raggiunto; infatti, parallelamente a quei prodotti più commerciali espressi con successo in quel di Blumhouse o nelle frange più oscure della Warner Bros. grazie al Conjuringverse, si muovono anche prodotti più indie, dal fare autoriale, che stanno dando una spinta propulsiva al genere elevandolo a stato d’arte. Parliamo di quel cinema fieramente rappresentato da nomi di garanzia come Ari Aster, Robert Eggers e Oz Perkins, che sono stati capaci di far avvicinare anche i cinefili più esigenti al fantastico e complesso mondo dell’horror. Oggi, però, andiamo ad annettere a questo micro-filone anche The Dark and the Wicked che vanta il nome, in regia e sceneggiatura, di Bryan Bertino, apprezzato quanto altalenante professionista della paura.