TFF38. The Dark and the Wicked, la recensione

Il cinema horror americano negli ultimi anni sta seguendo diverse strade, una delle quali è indicativa del punto di saturazione che il settore ha raggiunto; infatti, parallelamente a quei prodotti più commerciali espressi con successo in quel di Blumhouse o nelle frange più oscure della Warner Bros. grazie al Conjuringverse, si muovono anche prodotti più indie, dal fare autoriale, che stanno dando una spinta propulsiva al genere elevandolo a stato d’arte. Parliamo di quel cinema fieramente rappresentato da nomi di garanzia come Ari Aster, Robert Eggers e Oz Perkins, che sono stati capaci di far avvicinare anche i cinefili più esigenti al fantastico e complesso mondo dell’horror. Oggi, però, andiamo ad annettere a questo micro-filone anche The Dark and the Wicked che vanta il nome, in regia e sceneggiatura, di Bryan Bertino, apprezzato quanto altalenante professionista della paura.
Forte di un grande successo commerciale come esordio, ovvero The Strangers (2008), Bertino ha poi diretto il disastroso Mockinbird – In diretta dall’Inferno (2014), l’interessante The Monster (2016), infine ha scritto e prodotto il riuscito sequel The Strangers: Prey at Night (2018) ed ora eccolo di nuovo in pista con The Dark and the Wicked, presentato al Fantasia Film Festival, a Sitges (dove ha vinto anche due premi) e al 38° Torino Film Festival, come apertura della sezione dedicata al cinema di genere Le stanze di Rol.
The Dark and the Wicked immerge lo spettatore in una desolata fattoria nel mezzo della campagna americana dove Louise e Michael sono appena corsi in aiuto dell’anziana madre in difficoltà: la salute del loro papà, infatti, è peggiorata e lui è piombato in coma. Intubato e impossibile da trasportare in un ospedale, l’uomo però è tormentato da una oscura presenza che, a detta della moglie, vorrebbe impossessarsi della sua anima. Ovviamente i figli non credono a questa storia, ma quando la genitrice muore in circostanze misteriose, i due fratelli cominciano a sospettare che effettivamente la fattoria sia maledetta.
Evitando divagazioni e inutili ghirigori narrativi, Bryan Bertino va subito al dunque e fa piombare lo spettatore in un’atmosfera plumbea e opprimente che comunica un senso di disagio. Si respira un’aria strana in The Dark and the Wicked, un odore sulfureo sembra scaturire direttamente dalle immagini che scorrono lente sullo schermo, avvicinando sempre di più i personaggi a una situazione di pericolo da cui è impossibile uscire incolumi. Per molti aspetti, The Dark and the Wicked replica l’esperienza magistrale che si provava guardando Hereditary – Le radici del Male di Ari Aster riflettendo sul lutto e sull’eredità famigliare come porta diretta verso una dimensione oscura e terrificante, oltre che presentando una minaccia impalpabile che sembra avere origine direttamente da antichi culti pagani.
Pur mostrando qualche incertezza nella chiusura della storia, Bertino ha ben chiaro il meccanismo di tensione che sta alla base del suo film e lo sfrutta magnificamente lungo tutta la sua durata. Di fatto siamo d’innanzi a un piccolo manualetto del terrore, un horror puro che non lesina neanche in violenza brutale per trasmettere un senso di disagio amplificato che colpisce assolutamente nel segno. La scena dell’interruttore della luce, la sequenza di notte nella stalla, il climax nella casa di Michael sono esempi esplicativi di come si costruisce la tensione e si trasmette la paura.
Tanto di cappello a Mr. Bertino, che dopo The Strangers fa un altro centro clamoroso nel panorama horror, per di più toccando quelle corde di autorialità che sicuramente porteranno questo film anche fuori dai confini del genere.
Roberto Giacomelli
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