The Adam Project, la recensione
“I viaggi nel tempo esistono, ma tu ancora non lo sai”. Con questa frase esordisce, attraverso la voce narrante del protagonista Adam Reed, la nuova avventura fantascientifica di Shawn Levy The Adam Project, che dall’11 marzo 2022 è presente in catalogo Netflix per tutti gli abbonati. Una dichiarazione d’intenti che ci prepara a un divertente e iper-semplificato zibaldone cinematografico fatto di wormhole, paradossi temporali ed emozionanti salti nel tempo alla ricerca di un modo per cancellare… l’invenzione del viaggio nel tempo!
In The Adam Project, infatti, il dodicenne Adam si ritrova una sera in giardino il se stesso quarantenne, ferito e intento a nascondere il suo jet che gli consente di viaggiare nel tempo. Adam arriva infatti dal 2050, è un pilota temporale e ha un compito personale da portare a termine: ritrovare sua moglie Laura, pilota anche lei, smarrita da ormai quattro anni nel tentativo di impedire che nel passato un determinato evento possa accadere. Ma Adam quarantenne ha sbagliato anno ed è piombato nel 2022 invece che nel 2018 così, insieme all’Adam dodicenne, dovrà tornare ulteriormente indietro nel tempo per portare a termine la missione iniziata da Laura nella speranza di poterla anche riabbracciare.
Ma quanto è vasta la filmografia dedicata al tema dei viaggi nel tempo e dei paradossi temporali? Tanto. E negli ultimi anni sembra essersi intensificata in maniera esponenziale. Per districarsi in questo affollato mini-filone della fantascienza, Shawn Levy, fresco della collaborazione con Ryan Reynolds per il divertentissimo Free Guy – Eroe per gioco, chiama di nuovo il socio attore, che qui veste anche i panni di produttore, per una frizzante avventura temporale che si gioca la carta della commedia.
In fin dei conti, come puoi non spingerti nei territori comedy quando nel ruolo del protagonista hai Ryan Reynolds? Detto, fatto. Ma The Adam Project, pur affidandosi totalmente al talento brillante dell’attore di Deadpool, ha un’identità ben precisa che non vuole essere semplicemente l’ennesima commedia con Ryan Reynolds, piuttosto punta a quel comparto fanta-emozionale per tutta la famiglia che ha fatto la fortuna del cinema di Steven Spielberg, della Amblin anzi, senza però gettare sulla tavola il fattore nostalgico che negli ultimi tempi va per la maggiore.
Se l’incipit ci porta nella vita di un dodicenne chiacchierone vittima dei bulletti della scuola e pronto a cacciarsi nei guai, orfano di padre e con una mamma in carriera – interpretata dalla sempre bellissima Jennifer Garner – in cerca di rifarsi goffamente una vita sentimentale, dopo qualche minuto siamo scaraventati nella fantascienza da paradosso temporale assicurato. Quel ragazzino incontra se stesso ma adulto e da questo momento è un sense of wonder continuo: lo spettatore ha gli occhi del ragazzino di dodici anni e tutto il film è una scoperta dell’impossibile (ma desiderato) fatto di combattimenti con spade laser, soldati corazzati che sembrano usciti da un videogame, jet invisibili, droni letali e, ovviamente, viaggi nel tempo.
Shawn Levy, che è un abile narratore e – ricordiamo – è responsabile in qualità di produttore anche in uno dei prodotti seriali fantastici teen-friendly meglio riusciti degli ultimi anni, Stranger Things, riesce a calibrare con maestria i generi che stanno alla base di The Adam Project e se il tono è quello della commedia, con le irresistibili interazioni tra l’Adam bambino e l’Adam adulto con un Walker Scobell bravissimo e capace di tener testa all’esuberante Ryan Reynolds, il tutto si fonde funzionalmente con la fantascienza e alcune scene action davvero ben riuscite e spettacolari.
Ad un certo punto, però, The Adam Project cambia leggermente pelle e vira verso l’emozionale parlando di perdita. Nella vita di Adam – che ad un occhio superficiale sembra ricca d’avventura, fighissima – è sempre mancato l’amore, ma la cosa drammatica è che ogni volta che l’amore entra nella sua vita poi viene inesorabilmente perduto. I due Adam che interagiscono hanno un lutto che, in entrambi i casi, a distanza di quattro anni li perseguita ancora. Adam dodicenne ha perso il padre (Mark Ruffalo), con il quale non è riuscito neanche a instaurare un vero rapporto padre/figlio e porterà questo trauma fino all’età adulto imputandone una colpa proprio al genitore. Adam quarantenne ha perso sua moglie (Zoe Saldana), che era la sua unica ragione di vita, una perdita che forse può essere recuperate e che lo spinge fino ai confini del possibile. In entrambi i casi, la (fanta)scienza offre ad Adam una seconda opportunità: un’opportunità per il bambino (ma anche l’adulto) di poter finalmente affrontare l’amore paterno, di fare qualche tiro di baseball in giardino, e un’opportunità per l’adulto di capire quanto è importante una donna che lo capisca e con la quale costruire una vita insieme.
In The Adam Project ogni tassello sembra essere nel posto giusto e se nel meccanismo fantascientifico di moventi e motivazioni qualcosa sembra sfuggire al controllo della logica narrativa, il film riesce comunque a svolgere egregiamente il suo compito che è quello di intrattenere con una bella storia e personaggi ben caratterizzati.
Roberto Giacomelli
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