The Boogeyman, la recensione del film horror tratto dal racconto di Stephen King

Il genere horror attinge dalle paure infantili da sempre, basta pensare alla stretta correlazione che oggi poniamo tra questo genere e molte fiabe classiche prima che ne fossero elaborate versioni edulcorate. E tra le paure più comuni dell’infanzia c’è da sempre il buio, quella zona indefinita e indefinibile dove si annidano i mostri più spaventosi, dove vive l’uomo nero, il cosiddetto Babau del folclore europeo, o boogeyman come dicono nei paesi anglofoni, iconica creatura da cui nascono tanti miti del cinema horror contemporaneo, come Freddy Krueger e Michael Myers. Ma anche al di fuori di celebri saghe e mostri ben sedimentati nell’immaginario popolare, l’horror cinematografico ha più volte scomodato come minaccia l’Uomo Nero nella sua accezione più primordiale ed è quello che fa anche The Boogeyman di Rob Savage, un thriller soprannaturale abilmente fuso con il creature-feature che ha però un nobile antesignano cartaceo.

Il film di Savage, infatti, è la trasposizione/rielaborazione di un racconto di Stephen King da noi conosciuto come Il Babau, pubblicato per la prima volta nel 1973 sul magazine Cavalier e poi inserito nel 1978 nell’antologia A volte ritornano. Diciamo rielaborazione perché il racconto – molto breve – offre davvero poco materiale per essere trasposto in lungometraggio (non a caso ne hanno già tratto due film, nel 1982 e nel 2010, ma erano cortometraggi) e The Boogeyman aggiunge una storia tutta nuova a quell’episodio di terrificante seduta psicanalitica che era al centro dell’opera di King.

Will Harper è uno psichiatra e ha perso da poco sua moglie, un lutto che ha segnato profondamente le sue due figlie Sadie e Sawyer. Quando nello studio del dott. Harper si presenta, senza appuntamento, Lester e gli racconta la tragica morte dei suoi tre figlioletti, la vita del dottore cambia drasticamente. Lester, infatti, prima di togliersi la vita confessa a Will che la sua famiglia è perseguitata da un essere terrificante che si muove nel buio e abita gli armadi, lo stesso che ha ucciso i suoi bambini.

Da quella stessa notte, la piccola Sawyer comincia ad essere minacciata da una inquietante creatura nella sua cameretta che, col passare dei giorni, si fa sempre più presente fino ad apparire anche a Sadie. È quest’ultima a prendere in mano la situazione e cercare una spiegazione agli spaventosi eventi che si stanno verificando in casa loro.

King è solo un frangente utile a innescare la storia, così da creare una connessione tra vecchie e nuove vittime, come se il Babau fosse un parassita che si attacca a un nucleo famigliare pronto a decimarlo per nutrirsi delle paure dei più piccoli.

Si vede che dietro questo film c’è il duo Scott Beck e Bryan Woods, sceneggiatori di A Quiet Place – Un posto tranquillo, perché The Boogeyman fa con la luce quello che il film di John Krasinski faceva con il suono, mostrandoci una creatura capace di agire solo in scarse condizioni di luce. Questo innesca nell’azione del film una serie di trovate che pongono l’attenzione proprio sulle zone buie e la scarsità di luce, ben architettate per creare momenti di tensione davvero efficaci che trasmettono il senso del pericolo e traghettano verso jumpscares gestiti in maniera intelligente.

Il look del mostro, tra l’altro, è parecchio suggestivo perché sapientemente dosato in modo da lasciarlo rivelare un poco alla volta: il Babau si muove nell’ombra, ne vediamo sempre pochi dettagli, lo immaginiamo attraverso disegni infantili, fino al finale in cui appare più chiaramente e ha un aspetto davvero disgustoso (in senso positivo, ovviamente, visto che parliamo di un film horror!).

Se The Boogeyman nel complesso funziona perché riesce a far paura tenendo lo spettatore incollato alla poltrona, però va anche in contro a un’ingombrante dose di déjà-vu. Al di là di somiglianze più o meno evidenti a film analoghi come They – Incubi nel mondo delle ombre (2002) di Robert Harmon, Fear of the Dark (2003) di  K.C. Bascombe, Al calare delle tenebre (2003) di Jonathan Liebesman o l’altro The Boogeyman – L’uomo Nero (2005) di Stephen Kay, il film di Rob Savage contiene così tanti cliché appartenenti all’horror soprannaturale da rendere tutta l’esperienza altamente prevedibile per chi ha un po’ di dimestichezza col genere, tanto da apparire come un titolo maggiormente indicato per chi si avvicina per le prime volte all’horror.

Interessante, seppur non nuovo nel genere anche questo elemento, è il lavoro di scrittura che è stato fatto sulla protagonista e sull’importanza che ha l’elaborazione del lutto come grande metafora dell’intera vicenda.

A dar corpo alla protagonista, l’adolescente Sadie, è la bravissima Sophie Thatcher delle serie tv Yellowjackets e The Book of Boba Fett, introversa e particolarmente emotiva in seguito alla morte prematura dell’amata genitrice. Il film lavora molto sulla figura di Sadie, sulla sua fragilità e sulla mancanza di accettazione per la morte della madre, al punto che l’avventura contro il Babau diventa per lei un modo per elaborare quello che è accaduto, per superare e rendersi conto di quanto sono preziose le persone che le sono rimaste accanto. Rob Savage punta molto su questo aspetto che, a un certo punto, diventa quasi il fulcro del film prima di portare la storia verso un inaspettato climax quasi action che, se volgiamo, stona con quanto si stava facendo fino a quel momento.

La totale mancanza di originalità e una ridondanza narrativa nel frangente centrale penalizzano un pochino The Boogeyman, soprattutto agli occhi di un pubblico scafato con il genere horror, ma nel complesso ci troviamo dinnanzi a un prodotto dignitosissimo e formalmente elegante che non lesina in coraggiose scelte “cattive” e sa perfettamente come creare la tensione.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Le scene di tensione funzionano davvero bene.
  • Sophie Thatcher è brava e il suo personaggio ben costruito.
  • Sa molto di già visto.
  • A tratti risulta narrativamente ripetitivo.
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