The Equalizer – Il vendicatore, la recensione
Il buon cinema d’azione anni ’80, così ingenuo, così privo di pretese… così divertente. Di tanto in tanto qualcuno riguarda a quella gloriosa tradizione, che ha solcato soprattutto il panorama americano (ma spesso e volentieri anche quello italiano), e riporta in auge atmosfere e modalità di quello scanzonato e testosteronico universo guilty-pleasure. A volte accade con consapevole e ironica strizzata d’occhio, come ha fatto Sylvester Stallone e il suo team di Mercenari, altre volte tutto è più serioso e tra le righe, come accade con la nuova opera di Antoine Fuqua, The Equalizer – Il vendicatore.
Con il decennio ottantiano e l’ottica reaganiana The Equalizer condivide le origini perché il nuovo film di Fuqua prende spunto (molto liberamente) dall’omonima serie tv di Richard Lindheim e Michael Sloane, che in Italia andava in onda sulla Rai e prendeva il titolo di Un giustiziere a New York.
Lì Robert McCall era un detective privato, qui è un invecchiato e solitario commesso di un negozio di ferramenta che però nasconde un passato come agente C.I.A.. Robert è una macchina da guerra in pensione, un uomo mite all’apparenza, ma pronto a scatenare l’inferno se qualcuno gliene desse occasione. E questo accade quando Alina, una giovanissima prostituta russa che lui incontra sempre nella tavola calda sotto casa, viene picchiata selvaggiamente dai suoi magnaccia proprio sotto i suoi occhi. A questo punto, Robert capisce che c’è bisogno del suo intervento per riportare l’equilibrio e la giustizia tra le strade e si mette subito a caccia di coloro che gestiscono il traffico di prostitute dell’Est Europa a New York.
È impossibile non pensare ai vari Giustizieri della notte a mano a mano che The Equalizer procede, una saga e un modus narrandi che ha fatto scuola e in tempi poco sospetti ha creato versioni moderne del bronsoniano Paul Kersey con Il buio nell’anima, Death Sentence e Fuori Controllo. Il film di Fuqua, invece, avendo alle spalle una serie di culto, ha dei vincoli che impongono atmosfere e – in parte – eventi e personaggi, ma poi The Equalizer prende una sua strada che si discosta tanto da Un giustiziere a New York quando dai vari Giustizieri cinematografici. Il tono del film è serio, a tratti opprimente, Denzel Washington nel ruolo del protagonista ci mette tutta la sua professionalità per caratterizzare al meglio il suo personaggio. Robert è leale, acculturato, protettivo e con le sue piccole manie dà il senso di una persona equilibrata e legata all’ordine. Va da se che lo scardinamento di quest’ordine precostituito, che sia mentale o fisico, crei squilibri che solo lui può compensare. Il veicolo di questo scompenso è Alina, interpretata dall’onnipresente Chloe Grace Moretz, prostituta minorenne a cui Robert si lega con un rapporto che non ha nulla di malizioso, piuttosto tra i due – con vistose carenze affettive – si viene a creare un rapporto padre-figlia.
Antoine Fuqua, che è uno che il cinema lo sa fare davvero, avendo alle spalle grandi film come Training Day e Brooklyn’s Finest e onesti divertissment come Shooter e Olympus has Fallen – Attacco al potere, conduce le danze con gran professionalità. Il film è formalmente impeccabile, le scene d’azione sono dirette benissimo e la spirale di violenza in cui The Equalizer piomba – raggiungendo vette di splatter che lo fanno somigliare a un horror! – gli danno un fascino exploitativo particolare.
Un difetto? Dura troppo. Due ore e un quarto per un film come The Equalizer non sono necessarie e infatti si nota qualche passaggio morto, come il rapporto tra Robert e il suo collega di lavoro in difficoltà, che ha del ridondante nella caratterizzazione del protagonista.
The Equalizer convince, intrattiene e ha il sapore di quel bel cinema maschile che si faceva un tempo. E Denzel Washington aggiunge un bel personaggio al suo magnifico book di facce da cinema.
Roberto Giacomelli
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