On the Milky Road – Sulla via lattea, la recensione

C’era una volta, un lattaio di nome Kostache ogni giorno trasportava il latte e attraversava il fronte a dorso di un asino, schivando pallottole, per portare la sua preziosa mercanzia ai soldati. Un bel giorno arrivò la primavera, nel Paese di Kosta, tutto distrutto dalla Guerra dei Balcani. Il tempo, per la gente, sembrava essersi fermato, ma per la natura no… lei andava avanti lo stesso! Nella ripetitività delle giornate, il lattaio assecondava la sua vita sorniona e priva di preoccupazioni (tra mitragliate e serpenti). Kosta il serbo, benedetto dalla fortuna nella sua missione quotidiana, era anche amato da una bella italiana, la Sposa, che pareva quasi piovuta dal cielo. Tutto sembrava andare per il meglio, ma la vita del nostro eroe stava subendo grandi cambiamenti. Lui non lo sapeva ancora, ma la sua strada, la sua via lattea personale, stava per esser messa a soqquadro, da una serie di fantasmagoriche e rocambolesche avventure!

C’era una voltaOn The Milky Road – Sulla Via Lattea, la nuova favola moderna di Emir Kusturica (Kosta il lattaio), che sceglie Monica Bellucci (la Sposa), come coprotagonista di questa novella sulla voglia di vivere e sulla necessità di evadere dalla realtà. On The Milky Road  Sulla Via Lattea, presentato allo scorso Festival di Venezia, racconta e fonde insieme tre storie, raccolte in giro per il mondo direttamente dallo stesso regista, derivanti da fatti incredibili ma veri. Magia e surrealismo sono i leganti di queste storie. Basato sul cortometraggio Our Life – scritto a quattro mani da Kusturica, insieme alla figlia Dunja – il film racconta una storia d’amore, in una zona montuosa della Serbia, sconvolta dalla guerra civile.

Il film è una favola moderna, ed è stato emozionante dirigerlo. E’ una storia semplice – racconta Kusturica – ma girarla è stato estremamente faticoso, sul piano fisico. La lavorazione si è protratta a lungo, per ben tre anni, e durante le riprese abbiamo dovuto letteralmente lottare contro l’ambiente, perché avevo scelto di girare soprattutto in esterni. Cercavo paesaggi – continua il regista serbo – in grado di rappresentare la profondità dello spazio interiore dei personaggi principali. Durante le riprese la mia vita ruotava completamente intorno al film. Il mio approccio alla regia era in linea con la mia filosofia, col mio rapporto con la natura e con quello che la gente pensa veramente della vita”

Non c’è pace tra gli ulivi, non c’è pace tra le rocce, non c’è pace in mezzo ad un fiume, non c’è pace neanche se ti nascondi nella cavità di un albero. Non c’è pace in un buco largo un centimetro ed in fondo ad un pozzo, quando un Paese è martoriato dalla guerra. E, come nel film del 1950 di Giuseppe De Santis, non c’è pace neanche tra un gregge di pecore. L’idiozia, becera, della guerra si scontra, faccia a faccia, con la potenza dell’amore e della natura. “L’unica cosa che ha senso è amare qualcuno. In qualunque modo” dice in una scena la sposa/Bellucci. L’amore assume connotazioni quasi architettoniche, diventa un posto, un luogo reale. L’amore diventa una casa, anche quando le pareti fatte di mattoni crollano. L’amore è come un elemento della natura, che guarisce e salva.

Il cinema di Kusturica è intriso, sempre, da un mix di realismo e di visionarietà, di gran caos pagano e corale, capace di riempie la scena fino all’orlo di folklore, che sembra trasudare anche dallo schermo, ma mai come in questa occasione il rapporto uomo-donna si è andato ad opporre alla devastazione, causata dall’uomo armato.
La vera protagonista (decisamente più della Bellucci) è la Natura: madre protettrice e complice. Archetipo di tutto. Violenta, ma allo stesso tempo giusta. Anche gli elementi, aria, fuoco, acqua e terra, sono complici e coprotagonisti, così come gli animali presenti nella scena. Emir, contemporaneo San Francesco dei Balcani, si fonde con questa natura bellissima e tremenda, per regalare un finale visivamente molto forte, che rimanere impresso nella mente e grida: dove la guerra semina morte, non cresce più nulla.

C’era una volta, una bella favola moderna, violenta e splatter, come ogni fiaba che si rispetti. Un po’ alla fratelli Grimm, un po’ alla Esopo. Una storia, libera e letterale, così spudorata nel mettere in scena il suo autore e le sue visioni, tanto da lambire i limiti del ridicolo. Senza filtri, tanto da diventare interessante, nonostante l’insostenibile presenza di una Bellucci, un po’ …Biancaneve.

C’era una volta, e ci sarà anche dall’11 maggio, in 30 sale italiane, un grandissimo e poliedrico artista, che se ne infischia delle critiche, presenta un film, che gli sta così a cuore tanto da sembrare un figlio “imperfetto” e ci insegna (di nuovo) che fare cinema è un atto d’amore ed è arte, e l’arte deve essere libera, anche di esagerare e di far storcere il naso.

Morale della fiaba? Mai perdere la speranza, nonostante tutto. Bisogna saper cogliere le occasioni che la natura ci offre per evadere dalle restrizioni e dalle gabbie mentali, per esprimerci in piena libertà, anche quando il mondo intorno ci crolla, letteralmente, in testa. Fine.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • I paesaggi incredibilmente belli.
  • La sensibilità di Emir Kusturica, che buca lo schermo.
  • Monica Bellucci, quando non è muta.
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