The Zero Theorem, la recensione

L’introverso Qohen Leth vive all’interno di una fatiscente chiesa abbandonata, costantemente in attesa di una telefonata misteriosa che gli rivelerà il senso della sua vita.
Strenuo lavoratore di una bizzarra società capitanata dall’eccentrico Management, Qohen viene incaricato di provare il Teorema Zero, una formula matematica secondo la quale l’Universo presto terminerà, rendendo futile ogni singola esistenza in esso contenuta.
Relegato nella sua abitazione, l’uomo comincia a isolarsi completamente, ma riceve costanti visite da una escort virtuale, Bainsley e dal figlio del suo boss, Bob. Entrambi si riveleranno essenziali nel comprendere perché il significato della vita sembra così strettamente collegato allo zero totale.

Parlando di Terry Gilliam gli aggettivi e i ricordi di una filmografia ben precisa si affossano spesso nell’incomprensione più totale, un senso di smarrimento inconsueto generato dalla grandiosa mente di un artista totalmente dedito alle proprie immagini e alle proprie storie.

Il nuovo film di Gilliam è letteralmente concettuale, deliberatamente sfrontato, unicamente convoluto nella ricerca di risposte alle domande che si propone.

Può il nulla essere il tutto? Può un teorema matematico provare che l’esistenza di ogni singola cosa e persona è in realtà nulla?
The Zero Theorem gioca in ambiti inaspettati; Gilliam è mero vassallo di una storia, o meglio, di una struttura concepita altrove dai meandri della sua fantasia, attorno alla quale Terry cuce immagini e suoni, generando un degno famigliare di Brazil, con cui però paradossalmente ha ben poco a che vedere.

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Non ci sono sforzi di forme, di dimensioni, di colori; non c’è nemmeno quella vena umoristica  presente in massiccia dose in ogni lavoro di questo regista, anche se la sceneggiatura di Pat Rushin trova continuamente una perfetta sintonia con la mente di Gilliam.
Nel vortice visivo e metaforico del Teorema Zero non c’è traccia della gioia visionaria di Parnassus o Time Bandits, ne un tentativo forzato di celebrare il dono dell’immaginazione.
Satira e apparizioni cartoonesche a parte, The Zero Theorem è un film spaventosamente serio. Il mondo di Qohen Leth (nome risalente a Qoheleth, testo ecclesiastico dall’autore omonimo sull’assurdità dell’Esistenza, contenuto nella bibbia ebraica e quella cristiana) non è intrusivo come quello abitato da Sam Lowry, e la burocrazia ha ricevuto una metamorfosi perlopiù digitale. Non vi sono più tubature sconnesse e cavi penzolanti; solo pubblicità interattive e bocche parlanti che ti seguono mentre cammini lungo il marciapiede. Abbiamo sempre la visione di una gerarchia estesa fino a un boss-divinità, popolata unicamente da umani eccentrici e troppo concentrati sui propri tablet e ai party per potersi porre le stesse domande di Leth, ma viene confinata in uno spazio ben definito; Qohen ha sufficiente tempo per svolgere le proprie mansioni in santa pace.

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Con una seconda parte dal retrogusto teatrale, ambientata principalmente nella reclusiva chiesa abbandonata in cui risiede la dimora di Qohen, le principali ossessioni di Gilliam prendono vita come un miraggio di calore.
Strati di universi posti l’uno sull’altro, illusioni virtuali, erotismo goffo e malizioso, nani grassi e violenti nel tentativo di portare il Caos nella ricerca della chiarezza e dell’armonia.

Il bisogno ancestrale di coadiuvare irrazionalità e razionalità prendono vita con ammirabile arguzia e sprezzo del rischio verso uno sviluppo generalmente più improntato in chiave metaforica/metafisica, ma sempre e costantemente dotata di un sincero interesse nel risolvere i dubbi che vengono presentati. Non mancano, però, alcuni passaggi talmente stilizzati da sembrare controversi e interi blocchi di dubbi narrativi vengono sciolti in un paio di dialoghi casuali.

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Il simulacro di universo in cui la sceneggiatura si adagia, sequenza dopo sequenza, è un ecosistema di personaggi fallimentari, macchiette cosmiche senza percorsi definiti, menti vagabonde senza direzione; Qohen funziona come protagonista proprio perché è come loro. Non è unico, non è “plurale” come vorrebbe far credere, è un umano come tutti, e come tutti cerca la chiave alle sue domande. Nel tentativo di differenziarsi, non riesce a fuggire dalle sue delusioni umane, dalle sue mancanze emotive o dalla sua stessa mortalità, e in una manovra narrativa sorprendentemente controcorrente, anche la ricerca dell’Amore perde la sua importanza davanti al nulla cosmico.
Esseri umani fatti solo di materia, convenzioni sociali ridicole, delusione di Dio, teoria del Caos, matematica, filosofia, il nulla. Un miasma di argomenti e riflessioni così vasto da non poter essere contenute in una singola critica.
Grazie anche alla fantastica interpretazione di Christoph Waltz, che salva con magnificenza il personaggio di Qohen dal ridursi a semplice macchietta, The Zero Theorem raggiunge nei suoi momenti finali un’armonia onirica e tematica da lasciare semplicemente senza fiato.

Il ritorno all’innocenza, il piacere di scoprire la felicità senza artefici e solo con un’indagine della propria anima.

La sua struttura malleabile sfugge qualsiasi convenzione, qualsiasi confronto, qualsiasi tentativo di ricondurlo a un’ispirazione definitiva, e, sorprendentemente, dimostra una meraviglia interiore di snervante bellezza, nonché di verità.

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Sarà probabilmente il film più sottovalutato dell’anno, quello più snobbato ed evitato, ma Terry Gilliam è un regista che con The Zero Theorem dimostra la sua inossidabile magia, pellicola dopo pellicola. Un artista a tutto tondo, un sognatore che gratifica anche solo chi dei suoi sogni riesce a coglierne un barlume.
E anche se l’industria e il Mainstream ostacolano come sempre, il miglior regalo che si possa fare  a un genio come lui è di non smettere mai di raccontarci queste sue originali, uniche e irreplicabili storie da un universo assurdamente perfetto.

The Zero Theorem è nei cinema dal 7 luglio distribuito da Minerva Pictures.

Luca Malini

PRO CONTRO
  • Una fantastica riflessione sulle Condizione Umana.
  • Grandiosa interpretazione di Christoph Waltz.
  • Un Terry Gilliam al massimo della sua forma.
  • Sceneggiatura semplicemente unica.
  • Alcune parti possono risultare del tutto incomprensibili.
  • Chi si aspetta un parente di Brazil rimarrà deluso.
  • Finale affrettato.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +6 (da 6 voti)
The Zero Theorem, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to The Zero Theorem, la recensione

  1. marco ha detto:

    Meravigliosa recensione, ho appena finito di vedere il film e queste parole ne hanno semplicemente amplificato la profondità

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