Thor: Love and Thunder, la recensione
Dove avevamo lasciato il nostro amato Zio… ehm, Dio del Tuono? Niente paura, ci pensa la voice over del simpatico Korg, il roccioso guerriero Kronan già visto in Thor: Ragnarok e Avengers: Endgame, a rimettere ordine tra le molte avventure di Thor in un utile recap che fa testa a Thor: Love and Thunder. Ma ad aprire il 29° film del Marvel Cinematic Universe è un prologo dedicato a Gorr, il futuro “macellatore di dèi” le cui origini ci vengono raccontate partendo da quando non era ancora uno spietato villain.
E si trova proprio nella tragica storia di Gorr la chiave di volta del film co-scritto e diretto da Taika Waititi che, pur non rinunciando alla sua tipica vena umoristica ultra-demenziale, riesce a dare al suo film una particolare dignità drammatica che lo eleva al di sopra del precedente Ragnarok.
Dopo la sconfitta di Thanos, Thor si è unito ai Guardiani della Galassia per affrontare incredibili avventure nello spazio, ma una minaccia lo richiama a New Asgard, sulla Terra, dove scopre con grande sorpresa che c’è un “nuovo” Thor ad impugnare il suo Mjolnir ed è Jane Foster, la sua ex ragazza terreste, nonché il più grande amore della sua vita. Ma Thor e Jane devono mettere da parte le inevitabili divergenze causate dai loro trascorsi amorosi e unirsi a combattere Gorr, un rancoroso extraterrestre che imbraccia la Necrospada, un’arma potentissima in grado di uccidere qualsiasi dio. Il suo obiettivo è proprio quello di far fuori tutti gli esseri immortali dell’Universo per placare la sua sete di vendetta nei confronti delle divinità che gli hanno voltato le spalle nel corso della sua vita costellata da eventi tragici.
Sulle note dei Guns’n Roses, Taika Waititi imbastisce un ritmatissimo ma disequilibrato baraccone fanta-demenziale con un’anima drammatica fortissima. Thor: Love and Thunder si presenta così come uno schizofrenico assolo nell’MCU che non porta avanti in nessun modo la macro-storia dell’Universo Marvel concentrandosi esclusivamente su passato, presente e futuro del Dio del Tuono.
Se i Guardiani della Galassia compaiono solo nei primi minuti, l’intera storia di Thor: Love and Thunder ruota attorno ad altri personaggi, vecchi e nuovi, che di fatto sono il vero grande punto di interesse di questo film, ovvero Jane Foster e Gorr.
Natalie Portman è lontana dall’MCU da quasi dieci anni – se escludiamo la partecipazione vocale nel 2021 nella serie d’animazione What If…? – e pensavamo che ormai la sua Jane Foster fosse definitivamente uscita di scena con la rottura con Thor. Ma ritrovarla in Thor: Love and Thunder è stata una delle più felici scelte narrative che si potessero fare, anche perché il personaggio segue, con una certa fedeltà, la run a fumetti di Jason Aaron con tutte le drammatiche implicazioni che comporta, fornendo di nuova linfa e rinnovato interesse il personaggio interpretato da Natalie Portman.
Anche Gorr arriva direttamente dalla run di Aaron, solo che in questo caso il film di Taika Waititi reinventa quasi totalmente il Macellatore di dèi rendendo la sua storia più semplice e immediata per essere raccontata in un film di circa due ore. Non decade affatto, però la portata tragica del personaggio a cui da corpo con grande efficacia un sorprendente Christian Bale. La rimodulazione della storia di Gorr avvicina, paradossalmente, il suo personaggio a Thanos, epurato però dalla megalomania di quel villain e avvicinando le sue ragioni a una dimensione più intima e personale. Nonostante le numerose licenze, Gorr funziona ed è uno dei pochi villain “sporadici” dell’MCU a cui ci si affeziona e che riesce a lasciare davvero il segno; questo accade grazie a un intelligente e coerente costrutto del suo background e delle caratteristiche che accompagnano la sua figura, che di fatto agisce come una sorta di mostruoso pifferaio di Hamelin.
Poi, ovviamente, c’è Thor a cui Chris Hemsworth ha donato una grandissima personalità bucando lo schermo come nessun altro attore potremmo ormai immaginare. Qui il Dio del Tuono attraversa un’altra fase della sua travagliata vita: ormai sembra uscito dalla depressione in cui lo avevamo ultimamente trovato e, grazie alla vicinanza ai Guardiani della Galassia, ha abbracciato una poetica spirituale che gli ha donato pace, affetti e consapevolezza della sua funzione per la salvaguardia dell’Universo. Ovviamente, l’incontro con Jane creerà una nuova crisi interiore nel personaggio, che porterà a una nuova maturità, con risvolti narrativamente anche inaspettati. Insomma, quello di Thor è senza ombra di dubbio l’arco narrativo più mutevole e bizzarro di tutto l’MCU.
A dar manforte a Thor ci sono gli amici di altre avventure, Valchiria e Korg, che rappresentano anche una ormai consolidata quota LGBTQIA+ all’interno dell’Universo Cinematografico Marvel. La prima, interpretata con sempre più fermezza e consapevolezza da Tessa Thompson, è una annoiata sovrana di New Asgard che non vede l’ora di tornare in azione; il secondo è il simpaticissimo ex gladiatore roccioso, a cui da voce e movenze in performance capture lo stesso Taika Waititi, che qui ci fornisce importanti dettagli sul suo popolo (in particolare sulle pratiche di accoppiamento) ed è l’unico in grado di comunicare con le irresistibili e rumorosissime capre giganti ricevute in dono e importanti per la riuscita della missione.
Non mancano numerosi altri cammei, a cominciare dalla compagnia teatrale che intrattiene New Asgard già vista in Thor: Ragnarok, a cui si unisce un nuovo membro, per finire poi dalla Lady Sif di Jaimie Alexander alla Darcy Lewis di Kat Dennings e il Dr. Selving di Stellan Skarsgård, passando per almeno un altro personaggio che in questa sede non vi riveliamo.
Come tralasciare la scena madre nella città di Onnipotenza dove Zeus tiene il suo periodico ricevimento? Zeus è interpretato da un gigionissimo Russell Crowe che da vita a uno dei momenti più divertenti e allo stesso tempo assurdamente imbarazzanti di tutto il film. Si tratta di un momento chiave che probabilmente avrà ripercussioni sul futuro di Thor e dell’MCU e conferma la volontà di Taika Waititi di non volersi comunque prendere mai davvero sul serio.
E qui, se vogliamo, risiede il difetto macroscopico di Thor: Love and Thunder ripreso direttamente da Thor: Ragnarok. Perché se è vero che nell’Universo Cinematografico Marvel abbiamo già una saga che unisce con grande efficacia commedia, fantascienza e azione, ovvero Guardiani della Galassia, avere un quasi-clone più sguaiato con Thor non convince ancora a pieno. Con questa seconda prova di Waititi si percorre ancora di più la strada già intrapresa da James Gunn aggiungendo più “cuore” alla storia, così anche la visione generale non appare come un accumulo continuo di siparietti comici fini a se stessi come in Ragnarok; ma ancora c’è da lavorare, da affinare quella grettezza da teen-movie demenziale mancato che il cinema di Waititi si porta dietro (e che comunque molto pubblico apprezza, c’è da dirlo).
Colonna sonora potente ma un po’ scontata visto che dopo gli AC/DC di Iron Man, i Led Zeppelin di Ragnarok e i Ramones di Spider-Man si va praticamente su un percorso già solcato con i Guns ‘n Roses.
Due scene post-credits, entrambe abbastanza importanti.
Thor: Love and Thunder sarà al cinema dal 6 luglio 2022.
Roberto Giacomelli
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