Tiro libero, la recensione
Dio può essere un’importante risorsa di sceneggiatura. Se la costruzione del racconto non è solidissima e si fa fatica a imbastire una progressione narrativa soddisfacente, come si risolve il problema? Beh, è semplice. Basta tirare in ballo l’intervento divino ed ecco che ogni incongruità, ogni soluzione un po’ stiracchiata e prevedibile acquista un senso nuovo e provvidenziale proprio in quanto parte di un piano più grande di noi.
Va detto che Tiro Libero si misura con il metafisico in maniera più sentita e ragionata di quanto lascerebbe presagire questa cinica introduzione. Resta però l’impressione del trucchetto.
Tiro Libero, commedia dai risvolti sociali e dai toni fiabeschi firmata da Alessandro Valori.
Caduta e ascesa di un mito del basket della provincia italiana, Dario Lanciotti / Simone Riccioni, qui in veste di protagonista e co – produttore. Venerato dai tifosi, amato dalle donne, di buona famiglia, il ritratto sputato di un vincente. Ma nello stesso tempo un concentrato di immaturità egoismo presunzione e politicamente scorretto a dosi tali da sconfinare spesso e volentieri nella caricatura. Tanto arrogante il ragazzo da misurare la propria fiducia in se stesso lanciando un guanto di sfida al Padreterno, sicuro com’è che le sue parole si limiteranno a risuonare placide nel vuoto, come un’eco, e che nulla cambierà. Qui sta il suo sbaglio.
Tutto cambia. La malattia, la fine del gioco, una grana giudiziaria, l’incontro con una comunità di giovani disabili e l’amore, a nome Isabella, Maria Chiara Centorami. La vita di Dario si distrugge perché possa rinascere in maniera più piena e autentica. E così il piano è compiuto.
Tiro Libero posa il suo sguardo su una realtà scomoda, come solo la disabilità (infantile o meno) sa esserlo. La scorrettissima visione del mondo di Simone Riccioni è un coacervo di parole e atteggiamenti ignoranti e cattivi, figli di pregiudizi duri a morire (ma che ovviamente moriranno). Una scorrettezza temperata da un senso di reticenza, dal pudore implicito scolpito nell’intonazione con cui ogni battuta è consumata, quasi si avvertisse un senso di vergogna solo a evocare la crudeltà del mondo e dei suoi protagonisti. Eppure il mondo è crudele, a volte, e il film guadagnerebbe di certo a temperare la nobiltà dei suoi intenti imitando, di quando in quando, il cinismo del suo protagonista, e irrobustendolo.
Un buon cast di comprimari, Nancy Brilli, Paolo Conticini, Antonio Catania e Biagio Izzo (un po’ trascurato), completa il quadro. Alcuni dei momenti più divertenti del film, in effetti, si situano ai margini del racconto principale.
In definitiva, Tiro Libero fatica ad essere all’altezza delle sue ingombranti premesse. Un po’ commedia (all’italiana?), un po’ melodramma, racconto edificante e spunto di riflessione, il film non riesce sempre a trovare la quadra fra i suoi tanti motivi, e rimane un oggetto squilibrato e imperfetto. Forse questa imperfezione è parte del piano, forse no. Sta di fatto che si sente.
Francesco Costantini
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