Tyler Rake 2, la recensione

Tyler Rake 2

Il primo Tyler Rake era uscito nel 2020. Al tempo non sapevo nemmeno che tipo di aspettative avere, situazione che mi aveva permesso di trovarlo una gradita sorpresa. Anzi, a dirla tutta, da fan dell’action ne ero entusiasta. Un prodotto lineare ma efficace, adrenalinico. Con una robusta dose d’azione e violenza. Tecnicamente meritevole. Questo per dire che già allora ero propenso all’idea di un sequel, augurandomi che quel fotogramma conclusivo volutamente sfocato potesse essere lo spiraglio per un nuovo capitolo. Beh, tre anni dopo posso dire di essere d’accordo con me stesso, in barba allo psichiatra che nelle sue relazioni continua a scrivere il contrario.

Tyler Rake 2 è disponibile su Netflix dallo scorso 16 giugno. Stavolta avevo aspettative più precise. E devo dire con piacere che il film, diretto ancora da San Hargrave, non le ha deluse.

In questi casi scatta subito la domanda/paragone: è meglio del primo? Sinceramente non mi sono posto il quesito, ho visto questo sequel come prosecuzione naturale e coerente del discorso impostato tre anni fa, ho ritrovato elementi, formula e impostazione che avevo apprezzato allora.

Dopo aver fatto saltare in aria l’ufficio per la fotta, col mio direttore si discuteva compiaciuti del fatto di trovarci in un periodo florido per il cinema action, di una ritrovata tendenza a ricercare l’anima degli anni d’oro del cinema d’azione (storie semplici subordinate a tecnica e stunt) riaggiornando la messa in scena ad una visione (anche stilistica) contemporanea. Ovvero quello che fa esattamente la saga in questione, col secondo capitolo che riprende proprio lo spirito dei seguiti che si facevano un tempo. Per Tyler Rake 2 il focus è quindi quello di ricalcare la ricetta del suo predecessore, al massimo provando ad alzare l’asticella in materia di stunt fuori di testa ed espandere quel tantinello che basta il background del suo protagonista.

Tyler Rake 2

Stesso canovaccio, con qualche variazione estetico/ambientale: al posto dell’esotica, afosa, fatiscente ed affollata Dhaka, abbiamo location più fredde e asettiche, più cemento, clima rigido (con riprese che si dividono tra Praga e Vienna, ed una capatina a Sidney). Una nuova estrazione (con fuga e assedio continuo), come d’altronde promette con onestà il titolo originale, quell’Extraction che per l’occasione sfoggia un II romano all’interno della grafica perché il marketing ci insegna che fa figo. In pratica, soltanto in Italia (e qualche altro paese) viene distribuito col nome del suo personaggio protagonista. E forse è pure meglio così, magari Extraction avrebbe potuto ricordarvi un mezzo DTV del 2015, con comparsata di Bruce Willis al fianco di Kellan Lutz nel ruolo di protagonista – quando è universalmente noto che non andrebbe mai visto un film in cui il nome forte è quello di Kellan Lutz.

Tyler Rake 2

Tornando a noi, per prima cosa vorrei approfondire quel discorso dell’asticella. Il fiore all’occhiello del primo Tyler Rake era probabilmente il bellissimo piano sequenza da 11 minuti e 30 secondi, un matto condensato di quello che poi era lo stesso repertorio (completo) offerto dal film. Bene, tenete a mente quella durata. Undici-minuti-e-trenta-secondi. Ecco, vi basti sapere che la scena madre del secondo capitolo è ancora una volta un piano sequenza pazzesco, che stavolta dura praticamente il doppio. 21 minuti di follia! Una roba che da sola vale il prezzo del “biglietto”.

Che sia un finto piano sequenza (frutto di stacchi digitali più o meno percettibili) poco importa, lo sforzo tecnico è creativamente notevole, il risultato è degno dell’impegno profuso. Quattro o cinque mesi di preparazione, ventinove giorni di riprese per completarla. Non so se ho reso l’idea. Una lunghissima scena d’azione itinerante, che inizia in un luogo e finisce in un altro (passando, nel frattempo per altri ancora), l’estrazione con fuga da un ostilissimo carcere georgiano; elaborati corpo a corpo multipli, armi da taglio, scontri a fuoco, esplosioni, individui e cose che prendono fuoco, inseguimenti di vario tipo, un numero indefinito di persone coinvolte (tra protagonisti e comparse da macello), una quantità altrettanto indefinita di gente che muore male, violenza a profusione, il duello col fratello del villain, una chiusura sul treno che per qualche ragione mi ha riportato alla mente Runaway Train (A 30 Secondi dalla Fine del 1985). Roba esplosiva. Un virtuosismo che diventa funzionale all’azione, una spacconata a fin di bene in cui a beneficiarne è in primis lo spettatore. Che a parlarvene mi è venuta voglia di rivederla. Insomma, già da sola, un merito del film.

Tyler Rake 2

Qualcuno potrebbe cavillare sulla sua collocazione temporale, nel senso che nell’economia della visione poteva essere più redditizio piazzare una sequenza di questo tipo quanto meno a metà film e non nel primo atto. Ma, appunto, Signor Giudice, parliamo di cavilli, ben vengano iniziative del genere fossero anche sui titoli di testa.

Sequenza che aiuta ad inquadrare un comparto tecnico generale di livello. Che conferma la bontà dell’intuizione dei fratelli Russo che, in veste di produttori (con Joe nuovamente alla sceneggiatura tratta sempre dalla graphic novel Ciudad del 2014, realizzata da Ande Parks, Fernando León González ed, appunto, Anthony e Joe Russo), confermano alla regia quel Sam Hargrave a cui la volta scorsa avevano dato la possibilità di esordire dietro la macchina da presa dopo una carriera importante come stuntman, stunt coordinator, fight coordinator e via dicendo, che include una lunga serie di titoli conosciuti tra cui, manco a dirlo, svariati cinecomics di successo da Captain America: The Winter Soldier (in cui è anche controfigura di Chris Evans) agli ultimi due Avengers. Un percorso che ricorda da vicino quello di Chad Stahelski e David Leitch, anche loro passati con successo dagli stunt alla regia contribuendo allo stato di salute dell’action contemporaneo – e forse non è un caso che Hargrave abbia lavorato con (e per) Leitch in Atomica Bionda come coordinatore degli stunt e fight choreographer, oltre che attore in un piccolo ruolo.

Tyler Rake 2

Il regista (che compare di nuovo in un cameo) esibisce la sua bravura in ambito di action design, dimostra di conoscere quel mondo dall’interno, ha le idee chiare, mette in mostra visione d’insieme e senso del ritmo. L’azione è il suo habitat e la sua priorità, col cuore pulsante rappresentato da stunt e coreografie. Sequenze pianificate nei dettagli, concitate e coinvolgenti, cercando di ridurre al minimo stacchi e campi troppo stretti in modo da trasmettere un certo senso di crudo realismo (e violenza brutale, inclusa una nuova uccisione col rastrello che rimanda simpaticamente al cognome del protagonista – rake, appunto) anche quando le azioni eseguite camminano sul filo del surreale.

Se per la riuscita di un progetto del genere è necessario uno stunt team con i “controcazzi”, è chiaro che altrettanto importante diventa avere un attore protagonista all’altezza della situazione. Laddove per essere all’altezza non mi riferisco soltanto a presenza e physique du role. Dopo alcuni tentativi non esattamente entusiasmanti, Chris Hemsworth sembra aver trovato la sua dimensione al di fuori della Marvel zone – ed è singolare che dietro questa azzeccata collocazione ci siano proprio due uomini della Casa delle Idee come i fratelli Russo – quella dell’eroe d’azione vecchia scuola che non si limita ad avere il profilo giusto ma sposa la causa anima e corpo, con dedizione, impegno fisico, preparazione adeguata, atletismo, arrivando a realizzare da solo buona parte dei propri stunt.

Tyler Rake 2

Tyler Rake 2 riprende nel punto in cui finiva il primo, il tempo di una combo fortificante tra coma e riabilitazione ed ecco che si torna in missione. Ma stavolta la questione è personale, attraverso uno spunto di trama che, come accennavo in apertura, permette di espandere quel minimo di background del personaggio.

Nel predecessore avevamo visto un barlume di umanità e fragilità in un uomo che evidentemente non ha superato un trauma enorme come può essere la perdita di un figlio, che non ha vergogna di piangere quando le ferite si riaprono; in questo sequel, il racconto del lutto si inspessisce grazie a nuovi particolari, una parentela scomoda e la ricomparsa di una ex moglie che trova in Olga Kurylenko il suo volto.

Golshifteh Farahani e Adam Bessa ritornano nei ruoli di Nik e Yaz Kahn, si ritagliano il loro peso specifico ed anche un momento emotivamente toccante.

A capeggiare le diverse presenze georgiane nel cast è Tornike Gogrichiani, il suo Zurab – leader dei Nagazi – è un villain adeguato, le cicatrici sono il biglietto da visita di un figuro spietato e vendicativo al punto da perdere la ragione pur di difendere il proprio sangue, non ho approfondito il passato dell’attore ma le orecchie a cavolfiore mi suggeriscono un contesto di un certo tipo.

Tyler Rake 2

Particina anche per Daniel Bernhardt, anche lui spesso nell’orbita di Leitch e Stahelski e della loro 87eleven, che viste le sue skills marziali forse poteva essere sfruttato meglio; sono un sostenitore di quello che negli anni 90 veniva definito il Van Damme svizzero, probabilmente sottovalutato nel corso della sua carriera, negli ultimi anni mi fa piacere vederlo partecipare con buona frequenza a produzioni mainstream, se lo ingaggi (anche per un paio di scene) è perché sai cosa sa fare, hai il dovere morale di capitalizzare quelle potenzialità.

La volta scorsa avevano lasciato una porticina su un finale apparentemente chiuso nella speranza che il responso del pubblico portasse ad un sequel, l’opposto di questa circostanza in cui il cameo strategico di un nome noto come quello di Idris Elba (che con Hemsworth aveva già lavorato ad Asgard) puzza evidentemente di gancio per un terzo capitolo che stavolta sembra proprio una promessa. Che siamo felici di sapere verrà mantenuta (nuovo sequel già confermato). Tyler Rake merita la trilogia.

Francesco Chello

PRO CONTRO
  • Il folle piano sequenza da 21 minuti vale da solo il prezzo del biglietto.
  • Conferma il livello tecnico/visivo del predecessore.
  • Lunga vita agli stunt!
  • L’esclusiva streaming che preclude il grande schermo ad un titolo che avrebbe meritato quella destinazione.
  • Astenersi amanti della narrativa e dei sequel che devono necessariamente ampliarla.
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