Utama – Le terre dimenticate, la recensione

Siamo nell’Altopiano boliviano, una zona arida e ormai inospitale che si estende tra la catene montuose delle Ande occidentali e quella delle Ande orientali. Qui vivono Virginio e Sisa, due anziani quechua che hanno vissuto praticamente tutta la vita insieme. Una vita fatta di piccoli stenti, ma ad ogni modo felice. Hanno vissuto quella terra in un momento in cui la Natura era ancora ospitale, c’erano i pascoli e fiumi carichi d’acqua. Ma adesso il futuro è presente. Non piove da troppi mesi e quella terra è diventata davvero ostile al genere umano. Il terreno è arido, il verde non c’è più e il fiume più vicino è a chilometri di distanza. Il clima di giorno è caldissimo, quasi asfissiante, e le notti sono troppo fredde. Eppure Virginio e Sisa continuano a tenere salde le loro abitudini e non si piegano al cambiamento climatico. Ogni giorno, Virginio porta al pascolo i suoi lama – facendo chilometri per trovare qualche piccolo appezzamento d’erba – mentre Sisa deve camminare, camminare e camminare per prendere un po’ d’acqua alla fontana nel villaggio più vicino. Ma i due sono ormai troppo vecchi e deboli per condurre quella vita. Un giorno come tanti, la coppia di quechua viene raggiunta da Clever, il nipote che vive in città. Il ragazzo è giunto con il chiaro obiettivo di convincere i nonni a trasferirsi in città con lui. Ma Virginio, anziano orgoglioso e attaccato alle proprie radici, benché ormai malato non vuole proprio saperne di abbandonare quella che è sempre stata la sua vita.

Quando parliamo di Cinema, oggi, abbiamo tantissime cose da dire e tantissimi possibili sentieri da percorrere. Possiamo parlare di come è cambiato il cinema d’intrattenimento nei decenni così come quello d’autore, possiamo parlare di quest’ultimo come forma antitetica al cinema mainstream ma anche di quanto gli autori, negli anni, abbiano imparato a dialogare con il cinema di genere creando fantasiose commistioni. Possiamo parlare di un cinema in crisi d’idee a causa delle galoppanti mode dei remake, reboot, sequel o prequel, ma anche di un cinema sempre più alla ricerca di riflettere su sé stesso attraverso linguaggi metacinematografici o attraverso la neonata definizione di requel. Tutto ciò assume un significato particolarmente affascinante se ci fermiamo a riflettere sul fatto che, quando il Cinema è nato (poco più di cento anni fa, un lasso temporale ancora ridicolo), c’era solo un quesito possibile da porsi: meglio il cinema del reale dei fratelli Lumière o quello fantastico e sperimentale di George Méliès?

Nel corso dei decenni, viste e considerate le mille forme adottate da quest’arte così varia e in continua mutazione, sono stati intrapresi mille discorsi utili a fondere la visione realistica di coloro che hanno generato scompiglio filmando l’avvicinamento di una locomotiva a quella dello sperimentatore parigino che ancor prima della NASA è riuscito a mandare l’uomo sulla Luna.

Grazie alla sempre più attenta etichetta distributiva nostrana Officine Ubu, che solo l’anno scorso aveva portato in sala il bellissimo film budhanese Lunana – Il villaggio alla fine del mondo, oggi arriva nelle sale italiane Utama – Le terre dimenticate, opera prima del giovane regista boliviano Alejandro Loayza Grisi nonché film capace di conquistare la giuria del Sundance Film Festival (ha vinto il Gran Premio della giuria del Cinema Mondiale) ma anche di essere scelto dalla Bolivia come film degno di rappresentare il Paese ai prossimi premi Oscar.

Diciamolo senza continuare a girarci troppo intorno: Utama – Le terre dimenticate è un film che ha dell’incredibile!

Il lungo preambolo era funzionale ad arrivare ad un punto ben preciso, vero fiore all’occhiello di Utama, ovvero sottolineare la capacità del giovane cineasta boliviano di riuscire a trovare la quadra perfetta per unire il così detto cinema del reale al cinema di finzione. Due emisferi che da sempre si stuzzicano, si provocano, si fanno la guerra ma che in Utama – Le terre dimenticate diventando complici perfetti, le due facce della stessa medaglia, e danno vita ad una comunione artistica che ha del magico e del poetico.

Con Utama – Le terre dimenticate, Alejandro Loayza Grisi riesce nell’impresa ormai impossibile di ricondurre il cinema verso quella che potremmo definire la sua forma più pura.

Utama è un film tutt’altro che semplice o facile.

È profondamente un film di testa, poiché nulla è lasciato al caso in quanto ogni fotogramma del film rivela una maniacalità artistica che ha dell’assurdo. Ma al tempo stesso è anche un film che riesce a dare voce a ciò che il cuore (dell’autore, ma anche della popolazione quechua) sembra voler urlare con estrema convinzione.

Cercando solamente in apparenza un confronto con il cinema documentaristico, Utama – Le terre dimenticate è indubbiamente un film politico in quanto si fa veicolo di messaggi ambientali importanti che mirano a sensibilizzare – in modo super efficace – la coscienza di molti nei confronti di inevitabili disastri ambientali che stanno cambiando in modo drastico il nostro ecosistema così da portare alcune popolazioni verso un’estinzione obbligata. Un grido d’allarme, quello del regista, che in realtà è lo specchio di un disastro climatico-ambientale già avvenuto. Allo spettatore non viene chiesto di riflettere su ciò che sta per accadere, assolutamente no, lo spettatore viene “obbligato” ad assistere a qualcosa che sta già accadendo in una porzione di mondo. Anzi, qualcosa che è già accaduto e adesso non si può fare altro che raccogliere i cocci.

Come è facile intuire Utama – Le terre dimenticate è un film dal valore intrinseco assolutamente importante. Ma non bisogna cadere nell’errore – se di errore si può parlare – di guardare al film di Alejandro Loayza Grisi come un’opera solo pregna di messaggi importanti da veicolare. Un documentario che riesce a farsi cinema per seguire una delle tante e recenti mode della settima arte. Assolutamente no, perché Utama – Le terre dimenticate riesce ad essere proprio cinema nella misura in cui riscopre alcuni valori che sono propri della settima arte ma che purtroppo sono stati dimenticati/tralasciati da (quasi) tutto il cinema moderno.

Attraverso le vicissitudini dei due anziani Virgionio e Sisa (i bravissimi José Calcina e Luisa Quispe), una story line che attraversa tutte le fasi del cinema di finzione e non del documentario, Utama ricorda allo spettatore moderno che il cinema era una macchina incredibile capace di sbalordire e lasciare senza fiato anche prima dell’avvento delle moderne tecnologie digitali.

Oggi infatti parliamo spesso, forse sempre, di cinema che si fa spettacolo per gli occhi (quelli che qualcuno definisce stupidamente “i film da sala”) solo quando si accenna ad opere puramente industriali che traggono tutta la loro forza estetica dall’impiego di stupefacenti effetti speciali digitali. Quel cinema diventato alla pari di un parco giochi che Martin Scorsese, qualche tempo fa, aveva duramente criticato sollevando sterili polemiche e polveroni fini a se stessi. Ecco, quella polemica un po’ inutile – diciamolo! – sollevata da Scorsese diventa pragmatismo nel film di Alejandro Loayza Grisi dal momento che, con una storia narrativamente semplicissima che ci trascina nella quotidianità di una coppia quechua tra antropologia e tradizioni folcloristiche, Utama riesce ad essere cinema sbalorditivo tanto quanto possono esserlo le recenti opere Marvel o l’atteso Avatar – La via dell’acqua di James Cameron.

Ritrovarsi in sala a vedere Utama – Le terre dimenticate non ha prezzo. Tutto è perfetto.

Alejandro Loayza Grisi filma “quel mondo” restando sempre a debita distanza, così da evitare ogni qualsivoglia forma di pietismo o commiserazione. Ricrea la realtà attraverso una forma narrativa squisitamente antropologica ma a differenza di altri suoi colleghi, e qui il colpo di genio nonché l’evasione vera e propria dal documentario, il regista boliviano mostra una dedizione alla messa in scena che davvero lascia senza parole.

Scenari aridi magnificamente fotografati, luoghi reali che sembrano prelevati direttamente da Tatooine di Star Wars, campi lunghi e lunghissimi utilizzati per restituire al cinema una drammaturgia che mancava da troppo tempo, composizioni delle inquadrature a dir poco impeccabili. Utama – Le terre dimenticate è sicuramente un film che ci parla di criticità climatiche e di un popolo che le sta subendo sulla propria pelle, ma è anche un film che sembra aver assorbito a 360° la lezione di cinema di Sergio Leone.

Utama – Le terre dimenticate è un western moderno e antropologico così come Virginio, il protagonista del film, è un anziano cowboy che non trova più il suo spazio nel mondo. Ha perciò deciso di voltare le spalle alla modernità. Rinnegandola. Non riconoscendosi in essa. Preferisce morire insieme a quel mondo che ha sempre conosciuto piuttosto che piegarsi al cambiamento, cercare di adeguarsi ad un ritmo che sa bene che non potrebbe mai essere il suo. Lui è il passato mentre Clever, il nipote venuto dalla città per aiutarlo, è il futuro. Entrambi sono costretti a condividere un presente stretto in cui è chiaro, chiarissimo, che uno dei due è di troppo.

A tal proposito risulta più che mai emblematica e profetica, oltre che sublime, la scena in cui Virginio, sempre più disilluso e rassegnato al proprio destino, contempla l’arido paesaggio circostante. Un paesaggio che gli è famigliare ma che, al tempo stesso, non riconosce più. In questa contemplazione esistenziale, l’uomo viene raggiunto e affiancato da un grosso avvoltoio che sembra annunciare la fine inesorabile di un ciclo. Tanto quello di Virginio quanto quello della popolazione quechua. Un’immagine potentissima che, senza grosse difficoltà, si rivela uno dei momenti di cinema più significativi e forti degli ultimi anni. Anzi, decenni.

Cos’altro aggiungere nei confronti di un film di cui ci sarebbe tanto, tantissimo altro da dire? Alejandro Loayza Grisi firma l’opera moderna che, in modo più onesto e sincero, riesce a far convivere quelle due forme di cinema che agli albori sembrano lontani e in contrapposizione fra loro. Utama – Le terre dimenticate è un film necessario che riesce a far bene alla mente, al cuore e al cinema. Uno schiaffo in faccia a tutti quelli che sostengono scioccamente, in quest’apocalittico scenario moderno post-pandemia e filo-piattaforme, che i film meritevoli del grande schermo sono solo quelli figli di una certa Hollywood.

Utama è una co-produzione tra Bolivia, Uruguay e Francia ed è l’opera più cinematografica che ci è giunta negli ultimi tempi. Fatevi un regalo prezioso, molto prezioso: andate al cinema a vedere quest’opera d’Arte che necessita di un grande schermo (che non sarà mai quello di casa vostra!) per esprimere fino in fondo tutto il suo dolore, tutta la sua potenza artistica.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
Uno dei più bei film tra quelli che ci sono giunti negli ultimi anni. Non vi basta? Assolutamente nulla.
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Valutazione: 9.5/10 (su un totale di 2 voti)
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