Lunana – Il villaggio alla fine del mondo, la recensione

Ugyen è un giovanissimo insegnate di Thimphu, la capitale del Bhutan. È un giovane sognatore, ricco di ambizioni e determinato nel voler lasciarsi tutto alle spalle per trasferirsi in Australia e saziare le sue ambizioni da cantante. Ma prima deve terminare il suo contratto di lavoro con la scuola. Il corpo docenti, nel tentativo di mettere il giovane nella condizione di riscoprire il valore dell’insegnamento, decide di mandare Ugyen ad insegnare per circa un anno nella piccolissima scuola elementare di Lunana, il villaggio più remoto del Paese. Per raggiungere Lunana, un luogo completamente slegato dalla modernità e sito sulle vette dell’Himalaya, sono necessari otto giorni di duro cammino. Arrivato a Lunana, Ugyen trova uno scenario faticoso ad attenderlo: l’elettricità è instabile, i comfort inesistenti e l’unico combustibile possibile è il letame di yak. Non sarà semplice, per il giovane insegnante, trovare le giuste motivazioni per affrontare quei mesi d’insegnamento in una terra tanto incantevole quanto inospitale.

Solo pochi giorni fa si è svolta la 94ª cerimonia di premiazione degli Oscar che, come ogni anno, ha attribuito un’ambita statuetta al miglior film internazionale.

Come tutti sanno, a concorre per il riconoscimento quest’anno c’era anche l’italiano E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino che, purtroppo per l’orgoglio nostrano, non l’ha spuntata e l’Oscar per il miglior film straniero è stato attribuito – come prevedibile – al giapponese Drive My Car di Ryusuke Hamaguchi.

Ma insieme al giapponese e all’italiano, che sono stati senza dubbio i due titoli più chiacchierati della cinquina, c’erano anche altri tre film a concorrere. Tutti più meritevoli sia di Hamaguchi che di Sorrentino. Tra questi ce n’era uno capace di spiccare il volo più degli altri, sia per sincerità che per intima purezza di racconto. Parliamo ovviamente di Lunana – Il villaggio alla fine del mondo, ovvero il primo film nella Storia che ha permesso al Bhutan di entrare nella prestigiosa competizione degli Academy Awards.

Realizzato nel 2019 e già presentato alla 93ª edizione degli Academy, dove fu squalificato successivamente per probabili ragioni inerenti al percorso distributivo, Lunana è tornato alla ribalta quest’anno dopo un ammirevole percorso festivaliero. Il Bhutan così ce l’ha fatta, si è guadagnato quel piccolo posticino che – evidentemente – gli spettava già dall’anno scorso e, a questo giro, è riuscito ad entrare nella prestigiosa cinquina finale degli Oscar scalzando a sorpresa anche quotati avversari come Un eroe di Asghar Farhadi.

Un piccolissimo film a carattere naturalista, una terra sperduta che non ha mai avuto legami diretti con l’industria del cinema, realizzato nel 2019 e squalificato dagli Academy nel 2021 ma poi riproposto con successo l’anno seguente. Sembra quasi una favola il percorso distributivo intrapreso da Lunana, una bellissima favola che, mai come in questo caso, si fa monito di quel proverbiale insegnamento che nella vita non è importante vincere, bensì partecipare. E quella sua presenza nella cinquina, benché non si è concretizzata in una statuetta luccicante, ha comunque il grosso sapore della vittoria per il Bhutan che proprio grazie a Lunana – Il villaggio alla fine del mondo entra a testa alta nella Storia degli Academy.

E il linguaggio della favola, oltre a caratterizzare il percorso realizzativo e distributivo del film, è anche un linguaggio che si confà molto bene a Lunana. Infatti, adottando una struttura narrativa che può ricordare molto da vicino il bellissimo e nostrano Io speriamo che me la cavo di Lina Wertműller, il film che segna il debutto alla regia del giovane Pawo Choyning Dorji (che il film se lo scrive e se lo produce anche) è una bellissima favola di formazione a carattere naturalista e spirituale che indaga con sincerità e leggerezza all’interno della natura più profonda dell’essere umano.

Il ricongiungimento con la Natura, abbandonare i vezzi più materiali per focalizzarsi su quelli meno tangibili ma più vitali, riscoprire ciò che ci rende umani attraverso il simbolico mestiere del docente che, come ci ricordano i bambini della scuola di Lunana, è il solo che ha il dono di toccare il futuro.

Questi sono solo alcuni dei temi che Pawo Choyning Dorji riesce abilmente a toccare nel suo film, mettendo in scena un’opera di estrema profondità ma capace, al tempo stesso, di abbracciare in toto il linguaggio leggero e liberatorio della commedia.

Si, perché di base Lunana è una commedia. Ed è proprio qui che risiede la maestosità produttiva di un piccolo film come quello di Pawo Choyning Dorji (che dovrebbe fungere da severo esempio per molte produzioni italiane!), nel suo riuscire ad essere con estrema semplicità un film capace di promulgare i valori del buddismo, così come tutte le pratiche culturali bhutanesi, restando però fermamente ancorato ad una narrazione incredibilmente internazionale.

Pur essendo un film del Bhutan al 100%, realizzato in buona parte con attori autoctoni e non professionisti, Lunana ha l’intelligenza di sposare un punto di vista che gli permette di guardare e raccontare il folclore della sua terra restando sempre e motivatamente ad un pizzico di distanza. E qui sorge anche la furbizia del film (e ci riporta alla memoria il citato film della Wertműeller), eleggere a protagonista un ragazzo di città che vive nel Bhutan ma che non ha mai avuto nulla a che fare con le tradizioni popolari della sua terra. Un ragazzo che vive con il mito dell’occidente e che perciò ha dimenticato – o meglio ancora non ha mai conosciuto – il valore e le tradizioni della sua gente. Per la legge del contrappasso, sarà costretto a vivere per mesi in un luogo che incarna perfettamente tutto ciò da cui fugge ma con il quale dovrà inevitabilmente confrontarsi. Un’esperienza altamente formativa pronta a porre Ugyen in una squisita posizione d’insegnamento bilaterale: le regole del villaggio lo aiuteranno a crescere così come lui dovrà aiutare, in una fase cruciale della loro vita, quei pochi bambini che vivono a Lunana. Così Ugyen, apparentemente la persona meno motivata del mondo a fare l’insegnante, scoprirà di possedere tutte le virtù necessarie per essere non solo un valido maestro ma anche un ottimo esempio di vita. Due qualità che non sempre risultano inscindibili.

Grazie a questa costruzione e alla scelta del suo protagonista, Pawo Choyning Dorji riesce nell’arduo compito di realizzare un film fortemente locale ma adatto al pubblico di tutto il mondo; una commedia che affronta temi universali ma, al tempo stesso, anche un film dal taglio documentarista e naturalista che ci permette di conoscere usi, costumi e tradizioni di alcuni popoli apparentemente molto distanti da noi. Immergendoci in uno scenario naturale incontaminato e che ha dell’incantevole, Lunana ci offre la possibilità di “assaggiare” la cultura bhutanese ed entrare in contatto con alcune pratiche e credenze locali, come tutto quel mondo animista legato agli yak (animale che suggerisce anche il titolo internazionale del film, Lunana: A Yak in the Classroom).

In definitiva Lunana – Il villaggio alla fine del mondo è un film meraviglioso. Un’opera rara capace di smuovere, con semplicità ed onestà, alcune corde profonde che risiedono nell’animo umano. Un film puro che emana benessere, capace di commuovere nella sua estrema semplicità e che riesce a far riflettere, senza mai essere bacchettone o moralista, su quanto la nostra quotidianità sia ormai schiava di un materialismo tanto indispensabile quanto futile. Un materialismo dal quale non possiamo più scinderci, di cui abbiamo bisogno poiché che ci appaga momentaneamente, ma che forse ci ha fatto dimenticare quel valore basilare che dovrebbe essere prerogativa di ogni uomo: la libertà.

A modestissimo parere di chi scrive, in questo preciso periodo storico, Lunana – Il villaggio alla fine del mondo è l’unico film di cui davvero avevamo bisogno.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
Semplicemente un film che fa stare bene. Assolutamente nulla.
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Valutazione: 9.5/10 (su un totale di 2 voti)
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