Venezia 71. Pasolini, la recensione

Sono passati quasi quarant’anni dalla morte dell’indimenticabile Pier Paolo Pasolini, poliedrico e discusso artista che ha segnato il panorama culturale italiano. Forse per celebrare questo anniversario, o forse perché Pasolini è una figura troppo importante per passare ancora inosservata sul grande schermo, il cinema ha deciso di rendergli omaggio con ben due pellicole. La Macchinazione sarà pronto nel 2015, è una produzione italiana per la regia di David Grieco e con Massimo Ranieri nel ruolo del poeta, ma quello che qui ci interessa è il film di Abel Ferrara, che si chiama molto eloquentemente Pasolini ed è stato uno degli eventi in concorso della 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

L’idea di fare un film su Pier Paolo Pasolini balenava nella mente del regista di Il cattivo tenente davvero da molti, forse troppi anni ed ha cominciato ad assumere una forma concreta circa due anni fa, quando si è cominciato a lavorare alla sceneggiatura, scritta a quattro mani dallo stesso Ferrara e Maurizo Braucci. È evidente come Ferrara non volesse fare un film convenzionale e la sua voglia di raccontare gli ultimi mesi di vita del regista di Salò e le 120 giornate di Sodoma (che, curiosamente, è lo stesso periodo raccontato nel film di Grieco) è intelligentemente virata di surreale, così da non realizzare un “semplice” biopic. Qualche cosa, però, deve essere andata storta e, alle leggerezze di scrittura, che hanno il sapore di un rimaneggiamento dettato da esigenze di tagliare porzioni di storia, si aggiunge una frettolosità generale, che fa davvero pensare che quello di Pasolini non sia stato un set sereno.

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La storia da cui muove il film di Ferrara è quella degli ultimi mesi in vita dell’artista, tra frequentazioni altolocate e, più frequentemente, popolari, con particolare attenzione alla sua passione per i “ragazzi di vita” della periferia romana. Nel frattempo, Pasolini sta scrivendo la sceneggiatura per il suo nuovo film, Re magio randagio, che rimarrà incompiuto a causa della prematura morte del regista, ucciso all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975.

Il film di Ferrara è particolarmente scombinato, probabilmente per una scelta voluta, ma ciò che si percepisce dalla visione di Pasolini è che, dell’artista che dà il titolo all’opera, non ci sia quasi nulla. Pur se protagonista, infatti, l’artista rimane sempre marginale e non si riesce mai a inquadrarlo con la giusta importanza nel contesto in cui si muove. Gli unici momenti in cui Pasolini emerge è quando mostra il suo lato “scandalistico” e Ferrara indugia sulla sua passione per i ragazzini, che lo porterà alla morte. Dettagli “pornografici” che aggiungono un po’ di pepe e sicuramente porteranno, furbescamente, riflettori accesi sul film. Di Pasolini, la cosa più pregevole e convincente è l’idea di alternare la narrazione con le scene mai girate di Re magio randagio, come visualizzazione della scrittura di Pasolini, con Ninetto Davoli nel ruolo che sarebbe dovuto essere di Eduardo De Filippo e Riccardo Scamarcio nei panni del giovane Davoli. Per il resto, il Pasolini di Ferrara convince davvero poco o nulla, aggravato anche da una scelta linguistica davvero discutibile.

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Si tratta, infatti, di uno di quei film che traggono senz’altro vantaggio dal doppiaggio, dal momento che Ferrara ha deciso di girarlo mescolando senza un criterio logico inglese e italiano, in maniera inverosimile e goffa: quando, infatti, sentiamo l’oste della fraschetta che alterna il romanesco all’inglese maccheronico, non si può far altro che sorridere, così come non si comprende il motivo per cui Willem Dafoe alterna frasi in inglese ad altre in un pessimo italiano anche quando si esibisce in monologhi interiori. Il risultato, se visto in lingua originale, è frustrante e crea un vero muro tra chi vede e ciò che si vede.

Nel cast, che comprende molti volti italiani, tra cui anche Valerio Mastandrea, Adriana Asti e Roberto Zibetti, oltre ai già citati Davoli e Scamarcio, primeggia ovviamente Willem Dafoe nel ruolo di Pier Paolo Pasolini, sicuramente somigliante per quanto riguarda l’aspetto, ma forse disorientato, come se non ci fosse stata la giusta immedesimazione con il personaggio.

A Venezia Pasolini ha diviso moltissimo: qualcuno ha gridato al capolavoro, i più hanno fischiato di gusto, fatto sta che quello di Ferrara è un film destinato a far discutere, anche se poi sarà la prova del tempo a decretarne la reale riuscita.

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Interessante scelta di trasformare in immagini il film mai girato di Pasolini.
  • Scombinato nella sostanza e nella forma.
  • Attento più a destar scandalo che a raccontare (bene) una storia.
  • Se visto in lingua originale è un vero disastro con la scelta delle lingue.
  • Attori dalle performance altalenanti.
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2 Responses to Venezia 71. Pasolini, la recensione

  1. maurizio braucci ha detto:

    sono lo sceneggiatore del film, lei ha tutto il diritto di criticare il film. Purtroppo leggo questo suo commento

    Però qualche cosa deve essere andata storta e alle leggerezze di scrittura, che hanno il sapore di un rimaneggiamento dettato da esigenze di tagliare porzioni di storia, si aggiunge una frettolosità generale che fa davvero pensare che quello di Pasolini non sia stato un set sereno.

    ma lei cosa ne sa di come si scrive poi in realtà un film? Ma di quale rimaneggiamento farnetica? Siamo stati tre mesi, 24 ore al giorno a lavorarci io ed Abel, da zero, con ore e ore di interviste fatte e con studi approfonditi su quegli ultimi giorni. Ma dove troverà mai lei da qualche parte scritto che La Betti veniva da Zagabria dove aveva girato con Jancso o le notizie sui giornali di quel giorno o le telefonate ricevute da Pasolini? Questo è stato tutto frutto di un’accurata ricerca. Ha notato la precisione della ricostruzione della casa Pasolini? Crede che venga da Ikea? Nessun rimaneggiamento e di che cosa poi? Delle voci di corridoio? ma lei come li scrive gli articoli? va al bar e prendere informazioni tra i giocatori di tressette? Che il film non le sia piaciuto, non mi importa, ma impari a notare i dettagli delle cose se vuole scrivere di cinema (o comunque scrivere) e impari a capire cosa è una scelta e cosa un incidente, così , per onestà intellettuale. Il film ha una narrazione ellittica per scelta, poi che a lei non piaccia mi importa poco, è suo diritto ma anche una personale opinione, ma non giochi sporco con queste allusioni. Che ne sa lei di come si scrive veramente un film, con quale passione e dedizione? magari avrà letto qualche manuale in pdf ma che ne sa lei di cosa è stare sul campo e fare le cose? Strutture lineari narrative, vada a vedere solo film del genere, prima di entrare in sala chieda alla casa “ma il film ha una struttura lineare narrativa?” sennò non entri e non scriva fesserie spacciandole per grandi intuizioni. Che il set sia stato non sereno, beh: ha scoperto l’acqua calda, ha scoperto Abel Ferrara, il regista senza set sereni (ma poi esistono i set sereni?). La saluto grande e intuitivo recensore.. la prossima volta npn scriva con le orecchie e lo stomaco.. si documenti.. davvero però…

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  2. Roberto Giacomelli ha detto:

    Caro Maurizio, mi dispiace che uno sceneggiatore affermato e di talento come lei se la prenda per una critica a un film a cui ha collaborato… non ci credo che non le è mai accaduto prima, ma può succedere anche questo nel fare il suo mestiere: si viene criticati e i film a cui si lavora possono essere stroncati. Le consiglio di cuore di non prendersela con ogni critica negativa che arriva e arriverà, altrimenti davvero non vivrà sereno!
    Detto ciò, non ho davvero nulla da dire sulla ricostruzione storica e dei fatti, non mi sognerei mai di dirne contro, non ne avrei motivo. Il mio dito è puntato contro l’andamento narrativo del film, si procede in fretta, troppo in fretta (e infatti il film è anche molto breve), con stralci di vita del protagonista che fanno pensare che in origine ci fosse stato molto più materiale, poi sacrificato in dirittura d’arrivo con scelte che personalmente non ho apprezzato. Ovviamente non lo posso sapere, non ero lì con voi, e nei bar che frequento non si gioca a tressette e non si parla dei film di Ferrara; è semplicemente quello che il film mi ha trasmesso. E infatti, nel mio articolo, non ho mai detto che stavo raccontato i retroscena pre-produttivi del film, non capisco come sia arrivato a questa conclusione. Così come non comprendo dove abbia intuito dal mio articolo lo sdegno per la mancanza di una linearità narrativa, cosa che non è assolutamente vera, visto che tra i pregi di Pasolini cito la scelta di inframezzare la narrazione con la visualizzazione del film mai girato, che, di fatto, spezzano piacevolmente e intelligentemente la storia.
    Mi dispiace, ripeto, che si faccia prendere dall’enfasi per una semplice stroncatura – e neanche particolarmente “negativa”- ma è così che funziona, se tutti fossero d’accordo su tutto e vedessero i film come belli e perfetti sempre, sa che noia!
    Cordialmente,
    da uno che ha apprezzato (e neanche poco) Gomorra, Reality, L’intervallo e Piccola Patria.

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