Venezia 76. Atlantis

La guerra dev’essere alle porte per Valentyn Vasyanovich, dal momento che nel suo Atlantis, ambientato nel 2025, è già finita da un anno. Una prospettiva spaventosa, ma il film è comunque capace di conservare uno scampolo di ottimismo.

Seguiamo le vicende di Sergiy (Andryi Rymaruk) ex-militare affetto da disturbo da stress post traumatico. “Seguiamo” non è la parola giusta. Più che altro lo guardiamo da lontano. Il regista ucraino adotta uno stile caratteristico: camera fissa, posta a una certa distanza dagli eventi, in modo da racchiudere l’interezza della scena. Avete presente quei videogiochi in cui si può fissare la telecamera sul personaggio, costringendolo al centro dell’inquadratura? Ecco. Solo che qui non è centrata sul personaggio, ma sulla scena. Una scelta azzeccata per raccontare lo scollamento del protagonista dal mondo che lo circonda. Un mondo che, come la mitica Atlantide, sembra destinato a essere abbandonato.

A differenza di Roy Andersson, altro feticista della camera fissa, Vasyanovich si concede qualche movimento, ponendo il punto di vista sul retro di un’automobile, o lanciandosi in piani sequenza di varia lunghezza. Campi e controcampi, mai. Dev’essere un obolo al demone della simmetria, che su questo film ha dominio incontrastato. Non che tutte le inquadrature siano perfettamente simmetriche, ma in ciascuna si riconosce un’attenzione spasmodica alla composizione geometrica. Un preziosismo capace di tenere desta l’attenzione quando la storia non si preoccupa di farlo.

E la storia non se ne preoccupa affatto. Gli eventi del film sono ben pochi e tendono a dispiegarsi con somma lentezza. Il racconto del travaglio interiore del protagonista è lasciato in mano alla regia. Non è un caso se la prima volta che vediamo il suo volto da vicino (a circa un’ora dall’inizio … sì, ho controllato l’orologio) è quando siede accanto a Katya (Liudmyla Bileca), colei che lo avvicinerà al Tulipano Nero, un’associazione di volontari che recuperano i cadaveri lasciati dalla guerra. Come non è arbitrario il momento in cui la telecamera si centra su Sergiy, rendendolo per la prima volta il punto di fuga dell’immagine.

Degna di nota anche la fotografia, firmata dallo stesso Vasyanovich. Giocando con i contrasti cromatici e le architetture decadenti il regista ucraino mette in scena un mondo morente ma non privo di bellezza.

Alessio Arbustini

PRO CONTRO
  • Grandiosa cura dell’immagine.
  • Regia più eloquente della sceneggiatura.
  • Ritmo a tratti davvero troppo lento.
  • Con una storia più forte avrebbe potuto essere un capolavoro.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: +3 (da 3 voti)
Venezia 76. Atlantis, 7.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.