Venezia 76. Giants Being Lonely
La vita è infelicità e non so quando può arrivare la morte. Giochiamo a baseball!
La frase iniziale di Giants Being Lonely riassume appieno l’intero film.
Presentato nella sezione Orizzonti della 76esima Mostra del Cinema di Venezia, il lungometraggio narra le vicende di Adam, Bobby e Caroline, intenti ad attraversare quella sottile linea d’ombra che separa l’adolescenza dall’età adulta. Nel piccolo centro di Hillsborough, nella Carolina del Nord, trascorrono il loro ultimo anno di scuola in attesa del ballo e, soprattutto, giocando a baseball.
Infatti lo sport è l’unica valvola di sfogo contro la confusione della gioventù e l’incomprensione genitoriale. In particolar modo per Adam, con il padre allenatore della squadra di baseball che lo sevizia in garage quando non lo ritiene all’altezza, e una madre succube che tace di fronte agli abusi del marito.
Con una messinscena concreta e una fotografia azzeccata per rappresentare la campagna americana, la trama di Giants Being Lonely si dipana in modo disorganico sino a raggiungere un colpo di scena finale scontato e poco chiaro.
Al suo primo lungometraggio, Grear Patterson imbocca la strada della sperimentazione, ma inciampa qua e là. Artista con opere esposte in svariate gallerie internazionali, il regista comincia da buoni presupposti: le inquadrature lunghe spaziano nell’ambiente permettendo allo spettatore di immedesimarsi sin da subito; la recitazione dei giovani Jack Irving, Ben Irving e Lily Gavin è diretta bene, pulita e credibile.
Ciò che indebolisce il risultato finale è la sceneggiatura: i protagonisti non sono approfonditi a dovere, le ragioni delle loro azioni sono oscure; o forse Patterson voleva che venissero ricercate nei gesti, che accompagnano i lunghi, malmostosi silenzi. Purtroppo in questo fallisce.
Ma la fatica nel trovare un sorriso sui volti dei ragazzi, nonostante l’apparente eden che li circonda, è profondamente credibile.
E la sensazione d’amarezza che ne risulta è giusta per tratteggiare la solitudine della crescita.
Michele Cappetta
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