Bardo – La cronaca falsa di alcune verità. Quando essere i migliori non basta

Grande attesa per il nuovo lungometraggio del regista e sceneggiatore messicano Alejandro G. Iñárritu, assente dalle scene dal 2015 quando fece vincere l’Oscar a Leonardo Di Caprio con The Revenant.

Proiezione di Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades nella Sala Grande del vecchio Casinò del Lido, e bisogna subito dire che il tappeto rosso sta metaforicamente molto bene addosso a questo film che, a parere di chi scrive, è quasi un capolavoro.

Capolavoro sia per la regia – con fish eye che si mescolano a panoramiche, soggettive e riprese con droni, sia per le tematiche affrontate.

Eh sì, perché quella che viene descritta da questa pellicola della durata di ben tre ore è una vera e propria crisi esistenziale, vissuta da un documentarista interpretato da Daniel Giménez Cacho, tornato in Messico dopo aver passato vent’anni negli Stati Uniti e alla vigilia della consegna di un premio statunitense per il migliore documentario dell’anno.

Questa crisi è sin da subito esplicitata dalla prima scena, dove un’ombra nel deserto si eleva in volo per poi tornare a toccare il terreno in una caduta in piedi. Il tentativo di volare, di rimanere in aria e sorvolare le cose terrene, l’elevazione dello spirito è uno dei temi principali dell’opera. Non a caso “Bardo” è un appellativo che, oltre ad essere stato accostato a Shakespeare, indica primariamente una categoria di sacerdoti risalenti alla tradizione celtica. L’obiettivo del protagonista è quindi quello di elevarsi, partendo da una condizione di meticcio, ovvero di messicano rinnegato da parte del suo popolo, ma allo stesso tempo considerato immigrato in un Paese come gli Stati Uniti. Inutile dire che il regista sembra essersi messo in scena adottando un personaggio principale che gli è simile per condizione artistico-economico-sociale.

Quando torni in patria e le persone che ti lodano in realtà lo fanno solo perché hai fatto successo, qualcosa in te scatta. Si crea un vuoto, una voragine. Un senso di annullamento molto forte, nonostante tu abbia una bella moglie e un figlio e una figlia che sono all’altezza del tuo nome. Ecco, quindi, che Iñárritu sembra essere tornato quello di Amores Perros, affrontando la tematica del suo Paese natio, nazione fantastica, ma piena di contraddizioni.

Il cambio di prospettiva da cui affrontare la questione non è più, tuttavia, la rabbia del lungometraggio che lo consacrò a Cannes alla prima. Qui, infatti, sembra essere predominante un sentimento proprio dell’uomo maturo: l’ira. L’ira è un sentimento radicato tanto quanto la rabbia, ma decisamente più costruttivo, quasi in contrapposizione all’odio. Iñárritu sembra quasi voler dire, alla fine di questo film, che un grande artista può affermarsi quanto vuole, ma fin quando non vivrà in un ambiente sociale basicamente realizzato, non potrà mai veramente stare bene. Se attorno a noi le persone stanno male, non possiamo che venirne affetti.

Davvero un gran messaggio.

E quindi ecco che la bella società messicana viene distrutta da quello che a tratti sembra un Jep Gambardella che si aggira nell’opulenza del giro artistico messicano, fatto di bar della calle, di qualche soubrette e di personaggi al limite del provinciale. Questo protagonista, però, al contrario di Gambardella, non scarica solo sugli altri gli stimoli ricevuti, ma immagazzina, rielabora, soffre.

Il cinema messicano rimane pioneristico in un approccio poco paternalistico, molto tradizionale, di gran cura e con contenuti: basta ricordare Roma e Nuevo Orden, entrambi vincitori di premi a Venezia negli anni scorsi.

Stilisticamente, il film mescola suggestioni in stile Sorrentino con una fotografia al limite della realtà virtuale. Le inquadrature sono ineccepibili, i dialoghi sono densi senza tuttavia essere minimalisti, in pieno stile sudamericano. Il montaggio è semplice e lineare anche quando tecnicamente difficile.

Bardo, la cronaca falsa di alcune verità arriverà al cinema dal 16 novembre 2022 e poi su Netflix dal 23 dicembre. La versione che sarà distribuita, sia in sala che sulla piattaforma, è la cosiddetta “new cut” da 159′, quindi quasi venti minuti più breve in confronto a quella presentata alla Mostra del Cinema di Venezia e qui recensita.

Roberto Zagarese

PRO CONTRO
  • Presenza di un messaggio sinceramente espresso.
  • Montaggio.
  • Direzione.
  • Lunghezza.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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