In viaggio con Jacqueline, la recensione

In viaggio con Jacqueline, in originale La Vache (La Vacca), è una commedia francese di grande successo. In patria ha abbattuto la barriera del milione di spettatori e arriva sui nostri schermi con l’auspicio di confermare il buon trend di pubblico che la commedia transalpina può vantare a queste latitudini da qualche anno a questa parte.

Una favola dolce, stralunata e buffa, animata dalle migliori intenzioni, realizzata dal team produttivo di Quasi Amici.

Una boccata d’ossigeno contro il cinismo e l’intolleranza dilagante oggi più o meno ovunque. Tutti i Donald Trump di questo mondo con il loro ottuso nazionalismo ben poco potrebbero infatti contro l’entusiasmo e l’ingenuità di Fatah (Fatsah Bouyahmed), contadino di uno sperduto villaggio dell’Algeria che un bel giorno realizza il sogno di una vita: doppio pass, inclusa nel pacchetto l’adorata vacca Jacqueline, per partecipare al Salone dell’Agricoltura a Parigi. A piedi da Marsiglia a Parigi, eroi del web, qualche provvidenziale incontro, Hassan, il cognato “integrato” (Jamel Debbouze), e Philippe, conte spiantato ma di gran signorilità ( Lambert Wilson), Fatah e Jacqueline scoprono un mondo in fondo non troppo distante da quello appena lasciato, nel bene così come nel male…

Mohamed Hamidi vuole fare di In viaggio con Jacqueline prima di tutto un road movie dal tono fiabesco e naif. I modelli sono in alcuni casi esplicitati nel racconto, come La vacca e il prigioniero, film del 1959 di Henri Verneuil  con Fernandel, o altrimenti menzionati dal cineasta stesso (Little Miss Sunshine, il lynchiano Una Storia Vera). Il punto di partenza e di arrivo delle sue intenzioni resta indubbiamente la volontà di far ridere il pubblico delle disavventure e degli inaspettati trionfi dei suoi protagonisti. Ma non bisogna dimenticare che il buon Fatah, prodotto di una cultura contadina cui lo stesso Hamidi si ricollega, nel corso del suo viaggio non può non fare i conti con certe tensioni del mondo moderno che riempiono gli spazi dei telegiornali e qui agiscono come sfondo; troppo evidenti per agire a livello subliminale, non sufficientemente potenti da prendersi tutto il film.

L’innocente bontà e la parlantina senza freni di Fatah, cui fa da contraltare il mutismo impenetrabile di Jacqueline, una sfinge di intenzioni e sentimenti, lo rende suo malgrado un profeta disarmato ma molto efficace, che ci parla di confronto tra le culture, disagio socioeconomico, di periferie.

Raccontare di un film politico sarebbe improprio, si correrebbe il rischio di dilatare, per mere esigenze di critica, un discorso che il 45enne Hamidi vuole rimanga ben ancorato sui binari della risata on the road. Eppure, una carica, un afflato politico In viaggio con Jacqueline lo porta senza dubbio con sé. Questa favoletta all’apparenza leggerissima nei toni presenta una delicatezza di tocco e una grazia quasi inconsuete che sfiorano a volte l’inconsistenza, uno sconfinamento pericoloso senza dubbio, producendo un risultato inedito, non perfetto, ma interessante. E divertente, vale la pena di ripetere.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
  • Il casting per selezionare la vacca Jacqueline è stato molto rigoroso, ma efficace. Fatah e Jacqueline sembrano davvero fatti l’una per l’altro. Vedere per credere.
  • Molti buoni sentimenti, niente sentimentalismo.
  • A livello di intenzioni generali del racconto, si poteva osare di più.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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In viaggio con Jacqueline, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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