Il richiamo della foresta, la recensione

La memoria è stata ingiusta con Jack London, perché tra i grandi scrittori statunitensi che hanno vissuto a cavallo del IXX e il XX secolo è oggi tra i meno celebrati, eppure Zanna Bianca e Il richiamo della foresta sono tra i più grandi capolavori della letteratura avventurosa. Però, curiosamente a distanza di pochi mesi e senza l’ausilio di alcuna ricorrenza, le più celebri opere di London sono tornate alla ribalta grazie al medium cinema con Zanna Bianca di Alexandre Espigares, Martin Eden di Pietro Marcello e Il richiamo della foresta di Chris Sanders.

A sorpresa, è proprio il film di Chris Sanders, tra i primi a marchio 20th Century Studios, a colpire per la riuscita generale e la fedeltà allo spirito originario dell’opera. Noto per il suo contributo al cinema d’animazione con Lilo & Stitch (2002), Dragon Trainer (2010) e I Croods (2013), Sanders rimane nei territori del cinema per famiglie con l’utilizzo della tecnica mista che unisce il live-action con l’animazione in CGI per la realizzazione di tutti gli animai del film, a cominciare da Buck il cane protagonista de Il richiamo della foresta.

Il richiamo della foresta

1897. Valle di Santa Clara, California. Buck è il giovane cane del giudice Miller che viene rubato al suo proprietario e venduto a un perfido addestratore che traffica in cani da slitta. Portato nell’estremità settentrionale degli Stati Uniti, Buck finisce nella muta di cani che traina la slitta di un corriere ed è costretto a soffrire il freddo, la fame e la fatica finché il l’uomo si vede costretto a vendere tutta la muta a un terzetto di inetti cercatori d’oro. Ma la strada di Buck si incrocia spesso con quella di John Thornton, l’uomo che lo accompagnerà nella sua più grande avventura.

Priva dei crudeli indiani Yeehats e con attenzione alla quota rosa con il cambio di sesso a François, aiutante del corriere Perrault e secondo “padrone” di Buck, che qui diventa Françoise, questa nuova versione de Il richiamo della foresta è particolarmente ligia nell’evidenziare un legame molto forte con l’opera originaria di London catturando l’essenza del romanzo, che è un inno alla libertà e all’onnipotenza della Natura.

Il richiamo della foresta

Seguiamo le gesta di Buck, splendido incrocio tra un San Bernardo e un Pastore Scozzese, nella bellissima avventura della sua vita, fatta di difficoltà e di soddisfazioni, di paura e di amicizia, nel mentre l’istinto primario dell’animale lo avvicina sempre di più alla sua origine naturale. Il richiamo del titolo, l’istinto ferino del cucciolone, è esplicato da Sanders attraverso un gigantesco lupo nero che compare a Buck come materializzazione della sua origine, è lo spirito dei suoi antenati, della Natura, che gli da forza nei momenti più complicati e che gli mostra la strada sostituendosi progressivamente alla cattività in cui il cane ha vissuto.

L’uomo è un essere di passaggio nella vita di Buck, è un ricco borghese che lo vizia, un terrificante addestratore che lo picchia e gli insegna a temere il bastone, è un gentile e comprensivo postino che sa tenere le distanze con gli animali, ma anche un ottuso cercatore d’oro senza scrupoli. L’uomo è l’immagine delle diverse sfaccettature che la vita assume, una vita che può essere tanto crudele quanto amichevole e accomodante. Ma per Buck l’esempio umano che più rimarrà nel cuore è John Thornton, l’anziano cercatore d’oro che ha un passato solcato dalla tragedia e per il cane diventa un punto di riferimento importante, quasi un’immagine paterna, seguendo il processo di umanizzazione del cane che a tratti possiamo notare nel film di Sanders.

Il richiamo della foresta

Il richiamo della foresta racchiude quel sense of adventure che sempre più raramente ritroviamo al cinema, spesso fagocitato da ritmi da action movie che annullano quell’approccio classico all’avventura. Invece quella di Chris Sanders è una sintesi perfetta di quello sguardo classico al genere, in grado di incrociare la contemporaneità cinematografica grazie alla sorprendente tecnica utilizzata per animare i cani e gli altri animali, incredibilmente fotorealistici e mossi attraverso un complesso utilizzo della performance capture.

Nonostante il protagonista assoluto del film sia Buck, anche gli umani fanno la loro parte e per dar loro copro sono stati chiamati attori di un certo rilievo, a cominciare da Harrison Ford che è un John Thornton eccezionalmente empatico; poi c’è Omar Sy nel ruolo di Perrault e Dan Stevens in quello del malvagio Hal, unico personaggio che percepiamo stonato ed eccessivamente caricaturale, ruolo non a caso stravolto in confronto al romanzo per ovviare la necessità di avere un villain laddove la popolazione di nativi americani è stata eliminata per chiari motivi di politicamente corretto.

Il richiamo della foresta

Forte di una capacità di sintesi adatta a catturare il cuore degli adulti che l’opera di London la conosco già e di far appassionare i più piccoli alle avventure di Buck, Il richiamo della foresta con quell’aplomb quasi disneyano è un bellissimo adattamento di uno dei più noti e memorabili romanzi naturalistici della storia letteraria, un’opera misurata e ponderata che ci auguriamo possa essere ricordato come l’ottimo esempio di cinema avventuroso quale è.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Cattura l’anima del romanzo restituendola in un ottimo film d’avventura.
  • Harrison Ford è un John Thornton ricco di umanità.
  • Impressionante la CGI utilizzata per ricreare gli animali.
  • Il personaggio interpretato da Dan Stevens è una macchietta e la sua promozione a villain principale toglie enfasi alla conclusione.
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