Roma 2014. Soap Opera, la recensione

C’era una volta la commedia italiana.

Anzi, c’era una volta la commedia all’italiana.

Il riferimento non può che essere al passato, visto che Soap Opera, il nuovo film di Alessandro Genovesi, sembra avere un sapore internazionale che molto raramente si nota, oggigiorno, nel genere che ha reso grande la cinematografia del Belpaese. E tutto ciò malgrado durante il nono Festival Internazionale del Film di Roma, del quale Soap Opera è stato il film d’apertura, si sia sbandierata l’appartenenza del film di Genovesi alla grande tradizione della commedia tricolore.

Piuttosto Soap Opera è una commedia diversa dal solito – e spesso desolante – panorama nazionale. Più matura, scritta meglio, corale ma con misura, lontana dai soliti stereotipi. E un po’ ci stupisce, considerando che Alessandro Genovesi, fino ad oggi, si era fatto conoscere per la sceneggiatura di uno dei meno riusciti film di Salvatores, Happy Family, e per la regia e sceneggiatura di La peggior settimana della mia vita e Il peggior Natale della mia vita, ovvero come rifare in Italia Ti presento i miei con De Luigi al posto di Ben Stiller.

Invece Soap Opera stupisce in positivo.

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La storia si ambienta in un condominio in cui vive Francesco (Fabio De Luigi), scapolo impenitente che si vede piombare dentro casa il suo migliore amico Paolo (Ricky Memphis), armato e pronto a togliersi la vita perché spaventato dall’idea di diventare papà. Nell’appartamento affianco c’è Alice (Chiara Francini), che fa l’attrice televisiva e si porta un uomo diverso dentro casa ogni notte; al piano terra abitano Gianni e Mario (Ale e Franz), fratelli padroni del condominio e morbosamente attaccati in seguito all’incidente che ha reso paralitico il primo. Mentre di fronte a loro c’è un misterioso condominio che ha la pensata di togliersi la vita a pochi giorni dalla fine dell’anno. Tutto inizia da qui, da uno sparo che porta il Maresciallo Cavallo (Diego Abatantuono) a indagare sui motivi del suicidio e unisce gli inquilini della palazzina.

Soap Opera nasce come testo teatrale, una pièce che Genovesi – che si è fatto le ossa proprio a teatro – avrebbe dovuto portare in scena anni fa divisa in quattro parti. L’operazione non è mai andata in porto e ora l’opera diventa film, prodotta dalla Wildside di Fausto Brizzi e dalla Colorado Film e distribuita da Medusa.

C’è molto del teatro in Soap Opera, dalla scelta di ambientare tutto in interni (il film è stato girato nei teatri di posa di Cinecittà) ai tempi che ricordano molto la scansione in atti; ma anche la veste visiva ricorda quella del palcoscenico, con la divisione delle scene come se si trattasse di un allestimento sul palco, ai costumi che richiamano un’epoca indefinita. Infatti Soap Opera ha questa strana caratteristica di essere ambientato in un non-luogo e in un non-tempo: tutto è sospeso, non ci sono indizi di locazione geografica (neanche negli accenti dei personaggi… Francini a parte) e abiti, oggettistica e automobili fanno pensare a un passato che possa abbracciare un arco di tempo 50-80. Ma forse non è così… forse.

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I personaggi sono ben costruiti e le relazioni tra loro appaiono adeguatamente gestite e ordinate. Per una questione pratica, sembra evidente che De Luigi abbia il ruolo primario e nel mazzo a spiccare meno sia la Francini, mentre la verve comica è affidata quasi totalmente a Diego Abatantuono e il personaggio che sa farsi voler bene più degli altri è quello interpretato da Memphis.

Ma in un cast ricco e ben assortito, ci sono anche Cristiana Capotondi, in un ruolo di rilievo, e Caterina Guzzanti in un cammeo iniziale che le dà l’occasione di mostrare le sue insospettabili grazie.

Ironia diversa dal solito: si sorride più che scompisciarsi, ma va bene così perché Soap Opera è garbato e sa farsi ricordare.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una commedia insolita per il panorama italiano.
  • Cast ben assortito.
  • Una buona scrittura.
  • Non tutti i personaggi sono al pari livello di riuscita.
  • L’impostazione teatrale potrebbe far sbuffare qualcuno.
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