The French Dispatch, la recensione

Wes Anderson ha colpito ancora. Il più hipster friendly dei registi di Hollywood è tornato a raccontare il suo mondo surreale, garbato ed elegante con The French Dispatch che, dopo la bellissima parentesi in stop motion de L’isola dei cani, racchiude in un solo film tutta l’essenza del Wes Anderson più (stra)ordinario.

Selezionato dal 74° Festival di Cannes, The French Dispatch è un film a episodi che racconta alcuni eventi poi ripresi in altrettanti articoli del French Dispatch, appunto, un immaginario supplemento settimanale francese del quotidiano statunitense Evening Sun.

Tutto parte dalla morte di Arthur Howitzer Jr., direttore del The French Dispatch impersonato da Bill Murray, e dalla volontà dei suoi redattori di scriverne un necrologio da far uscire in un’edizione commemorativa della rivista. A questo punto ripercorriamo tre importanti servizi che hanno contribuito alla notorietà del French Dispatch e che andranno a comporre questa edizione speciale: la storia di un artista condannato all’ergastolo che continua a dipingere dalla prigione; un reportage sulla nascita di un rivoluzionario manifesto culturale tra le fila più radical chic di un comitato studentesco; la ricostruzione del rapimento del figlio del capo della polizia da parte di un autista di limousine.

The French Dispatch viaggia sul filo del rasoio perché, essendo un concentrato autorialissimo dell’immaginario andersoniano, funge da prodotto ad uso e consumo esclusivo del pubblico affezionato al cinema del regista di Grand Budapest Hotel. Ma andiamo per gradi.

La novità in questo film, rispetto alla filmografia di Wes Anderson, è che per la prima volta l’autore si confronta con un vero e proprio film episodico. I suoi lavori precedenti sono sempre stati corali e intenti a raccontarci episodi, spesso frammentari altre volte come mini-film nel film, delle vite dei personaggi che li compongono, ma The French Dispatch è dichiaratamente strutturato in tre storie differenti collegate da una cornice e con una parentesi comica affidata al titolare della rubrica di viaggi Owen Wilson.

the french dispatch

Dei tre è senza ombra di dubbio il primo “articolo” a conquistare e distaccare gli altri in quanto a partecipazione e originalità. Benicio del Toro è un pacioso assassino condannato all’ergastolo ma con un particolare talento per la pittura; Léa Seydoux è la guardia carceraria di cui l’artista si invaghisce e che utilizza come modella-musa ispiratrice per i suoi quadri surrealisti; Adrien Brody è un impresario d’arte, ex carcerato, che fiuta il talento del suo ex compagno di prigione. A questo terzetto si aggiunge una critica d’arte che funge da collante con il French Dispatch interpretata da Tilda Swinton. Anderson racconta una storia d’amore sopra le righe che è anche un atto d’affetto verso l’arte e il cinismo del mercato che vi ruota attorno. Si ride e ci si emoziona, del Toro è fantastico nel ruolo del rude e ringhiante artista/assassino ed è impossibile rimanere impassibili davanti alla bellezza prosperosa di Léa Seydoux e dei suoi nudi integrali.

the french dispatch

Il secondo “articolo”, invece, è un brusco segnale d’arresto all’interno dell’armonia generale del film. Frances McDormand è la reporter del French Dispatch intenta a raccontare ai lettori la storia dello studente Zeffirelli – interpretato da Timothée Chalamet – che si fa promotore di un manifesto culturale nel clima studentesco sessantottino. Una storia di sesso lega la stessa reporter allo studente che, in un turbine di eventi sopra le righe e riunioni a sorseggiare caffè nel ritrovo dei rivoluzionari, porta a un tragico epilogo. In questo episodio c’è la verve tipica del regista ma manca un vero mordente e le vicende di Zeffirelli, se non fosse per la presenza di Chalamet che risulta un’ottima scelta per il personaggio, davvero portano l’interesse al grado zero.

The French Dispatch

I toni si rialzano con l’ultimo episodio dal sapore action/thriller in cui il giornalista Jeffrey Wright, che ha la rubrica di culinaria, è ospite nel talk show condotto da Liev Schreiber e racconta la storia di cui è stato testimone che ha visto il Commissario di polizia, interpretato da Mathieu Amalric, dar la caccia ai rapitori di suo figlio. Il legame con la rubrica di cucina? È proprio il cuoco asiatico della mensa della polizia a far da Cavallo di Troia per recuperare il bambino e mettere fuori gioco i rapitori. L’episodio ha brio e inventiva, anche sufficienti guizzi narrativi, ma si presenta un po’ pasticciato nel fondere insieme più stili (c’è anche l’animazione 2D per soprassedere alle scene d’azione) che non sempre si legano benissimo tra loro e portare in scena troppi personaggi con una – sicuramente voluta – confusione generale non proprio gradevolissima.

Nel complesso, The French Dispatch è davvero la summa del cinema di Wes Anderson che si ritrova tanto nel ricchissimo cast (che raccoglie tutti gli attori che hanno già lavorato con lui costruendo il più corale dei suoi film) quanto nel formalissimo stile di regia e montaggio. Buona parte delle scene sono a inquadratura fissa, come se si trattasse di una finestra aperta sul mondo, dove accadono cose come sul palcoscenico di un teatro. Il formato cambia, da 4:3 si passa al 16/9 panoramico senza apparente soluzione di continuità logica, ma tutto e sempre rigorosamente centrato. Lo schermo è maniacalmente geometrico e la scena può essere sempre divisa precisamente in quattro quadri con punto di fuga al centro. Ovviamente non possono mancare i colori pastello che si alternano a un bianco e nero da nouvelle vague e le musiche tipiche del cinema andersoniano, curate da Alexandre Desplat, fatte di xilofoni, flauti, benjos e mandolini.

Il pericolo, arrivati al decimo lungometraggio da regista, è che Wes Anderson abbia ormai giocato il tutto per tutto e sia passato alla ripetitività. Se escludiamo i primissimi film e i due lunghi d’animazione, il cinema di Anderson va oltre la firma dell’autore e gioca ormai fin troppo al sicuro rivolgendosi a un pubblico affezionato che ne ha decretato il successo negli anni. Insomma, con The French Dispatch si nota più che in passato la volontà di non mettersi in gioco. Ma siamo a un pericoloso punto di saturazione e la pregevole visionarietà di Wes Anderson comincia ad apparire una richiesta d’aiuto da parte di chi ha esaurito la propria genialità.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Lo stile di Wes Anderson è qui all’ennesima potenza: se vi piace l’autore apprezzerete molto.
  • Il cast ricchissimo.
  • Il nudo integrale di Léa Seydoux.
  • Lo stile di Wes Anderson è qui all’ennesima potenza: se non vi piace l’autore, statene alla larga!
  • Il secondo episodio rallenta e affossa il film.
  • Bravo Anderson, ma ora passiamo ad altro.
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