Venezia 72. Sangue del mio sangue

Vicino alla soglia dei 50 film diretti e con una carriera che va avanti da oltre cinquant’anni, Marco Bellocchio è tra i più apprezzati cineasti italiani, capace di donarci dei veri gioielli ma anche colpevole di un vistoso declino retorico che negli ultimi anni l’ha imprigionato in una “nicchia” per le sole élite. Con uno stile rigoroso e, per forza di cose, molto classico il regista dei fondamentali I pugni in tasca e Buongiorno, notte compie un anomalo passo con Sangue del mio sangue, il film con cui torna in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia dopo aver vinto il Leone d’oro nel lontano 1967 con La Cina è vicina e aver conferito il Premio alla carriera nel 2011.

Perché Sangue nel mio sangue è un film anomalo? Innanzitutto è un ritorno al genere dopo La visione del sabba, ma, proprio come accadeva nel film del 1988, è un film di genere assolutamente anticonvenzionale che porta una marcata impronta autoriale e, questa volta, si mescola con una pennellata di commedia capace davvero di far la differenza.

Memore proprio della tematica affrontata in La visione del sabba, anche in Sangue del mio sangue si parla di stregoneria: questa volta siamo nel nord-Italia, precisamente a Bobbio, nel tardo Medioevo, dove la suora Benedetta è accusa di aver sedotto, amato e condotto al suicidio Fabrizio Mai e per questo è sottoposta alle terribili prove dell’inquisizione per dimostrare il suo legame col demonio. Tutto ciò accade sotto gli occhi di Federico Mai, fratello di Fabrizio, giunto in paese proprio per assistere alla condanna della strega.

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Un salto temporale ci porta nella Bobbio di oggi, dove quel convento teatro della tortura di Benedetta è sotto le attenzioni di un miliardario russo che vorrebbe comprarlo e trasformarlo in un hotel di lusso. Accompagnato dall’ufficiale ministeriale incaricato dal demanio, il russo deve però fare i conti con l’abitante dello stabile, un misterioso Conte che esce solo di notte ed è attratto dal collo delle giovani del paese.

È evidente come l’immaginario esplorato da Bellocchio in questo film sia quello orrorifico che tra streghe e vampiri trova un’originale escamotage nella narrazione alternata tra due piani temporali che hanno come unico (ed esile, a dire il vero) punto di contatto Bobbio e il convento di clausura. Bellocchio dice di essersi ispirato alla storia della Monaca di Monza e se questo un evidente punto saldo alla base della tranche ambientata nel medioevo, di tutt’altro retaggio è il conte vampiro della Bobbio odierna. Per certi aspetti il ricco e attempato nobile che succhia il sangue (in maniera quasi più metaforica che fisica) alla plebe ignara della sua esistenza rimanda a quel gioiello di Corrado Farina che risponde al titolo di Hanno cambiato faccia, vampirico sociale del 1971 in cui il vampirismo è legato al rapporto padrone/operaio nel contesto industriale dell’Italia del nord. In questo caso il Conte, interpretato in maniera magistrale dal carismatico Roberto Herlitzka, già redivivo Aldo Moro in Buongiorno, notte, agisce innocuamente nell’ombra, stanco e dedito più alle fantasie che all’azione. Un vampiro appartenete al passato, che ha fatto la sua epoca succhiando il sangue ai suoi paesani e ora cerca riposo e tranquillità, quello che sembrano volergli negare i suoi “eredi”, yes men dall’est Europa che vogliono piantare i loro artigli sull’Italia.

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Il Conte si abbandona a dialoghi ricchi di ironia col suo dentista, interpretato da un altro grande come Toni Bertorelli, anch’esso in passato vampiro in Zora la vampira, con coi discute di tasse, fisco e decadimento morale in una delle scene più riuscite e sentite del film.

Se la seconda parte, quella ambientata prevalentemente ai giorni nostri, è brillante e divertente, la prima presenta quel rigore più vicino al cinema classico e d’atmosfera. Con elementi che ricordano molto l’ottimo Arcano incantatore di Pupi Avati, seguiamo il martirio di una Santa, presunta strega, nelle classiche torture inquisitorie come il marchio del fuoco e la prova dell’acqua. Questo primo blocco ha un’aria funerea, opprimente, stranamente invasa, ad un certo punto, da una cover di Nothing Else Matters dei Metallica che accompagna una scena onirica e torna nel finale. Un finale potentissimo e beffardo, che per certi versi ricorda proprio quello di Buongiorno, notte.

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Sangue nel mio sangue è un film destinato a dividere perché fieramente strambo e anticonformista: così ancorato a un retaggio classico quanto debitore di una sincera voglia di fare qualche cosa di diverso.

Una farsa mascherata da horror, mascherato da dramma storico.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Bellocchio riesce a cambiare registro almeno tre volte con estrema naturalezza.
  • L’ironia della tranche ambientata ai giorni nostri è un piacevole stacco.
  • Roberto Herlitzka è bravissimo.
  • Il salto temporale è pretestuoso e non lega benissimo le due epoche.
  • La prima parte ha un ritmo tendente al soporifero.
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